(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
159 Si è mantenuto nell'
art. 293 del c.c., in conformità al progetto, il divieto di adozione dei figli nati fuori del matrimonio col temperamento di tener ferma l'adozione, qualora il rapporto di filiazione naturale venga a risultare posteriormente alla costituzione di quel vincolo. Ma non è stata accolta la proposta di ammettere tale temperamento a favore anche della prole naturale non riconoscibile, perciò non è sembrato giusto porre sullo stesso piano la prole naturale che puo essere riconosciuta e la prole non riconoscibile. Se per motivi di equità si è stabilito di mantenere ferma l'adozione quando, al momento in cui essa ebbe luogo, la qualità di figlio naturale dell'adottato non risultava da riconoscimento o da dichiarazione giudiziale, sarebbe eccessivo estendere il beneficio anche alla prole incestuosa e alla prole adulterina, quando quest'ultima non può essere riconosciuta. Si chiarisce peraltro che la filiazione incestuosa o adulterina non può risultare se non da uno dei modi indicati nell'
art. 279 del c.c.. E' stata risoluta la questione circa l'ammissibilità o meno del riconoscimento del figlio naturale da parte del genitore, che l'abbia in precedenza adottato. Il nuovo testo (art. 293, terzo comma), adotta la soluzione negativa, ispirandosi al concetto che, una volta costituitosi il rapporto di adozione, che assicura all'adottato una posizione sotto più aspetti pari a quella del figlio legittimo, non deve essere più consentito all'adottante di porre col riconoscimento successivo l'adottato in una posizione deteriore. L'unico effetto che la legge riconnette a tale riconoscimento è quello riflettente la legittimazione, la quale non può mai restare preclusa, malgrado la precedente adozione, per i più ampi vantaggi d'ordine morale che lo stato di figlio legittimo assicura in confronto a quello di figlio adottivo. Naturalmente, avvenuta la legittimazione, cessano gli effetti della precedente adozione per l'impossibilità logica di far permanere i due diversi stati personali (art. 310).