L’articolo in commento disciplina i limiti delle facoltà edificatorie nelle cosiddette “
zone bianche”, ossia nelle aree del territorio per le quali manca una pianificazione urbanistica, fissando un regime di salvaguardia destinato a trovare applicazione
in via temporanea solo fino alla dovuta adozione degli strumenti di pianificazione generali o attuativi da parte del Comune.
L’art. 9 è applicabile sia nell’ipotesi di carenza assoluta di
pianificazione generale, fattispecie che è oggi per la verità abbastanza rara ma che può verificarsi in caso di annullamento giurisdizionale dello strumento urbanistico, sia nel caso in cui l’assenza di pianificazione riguardi solo parti circoscritte del territorio comunale, come accade ad esempio in presenza di vincoli espropriativi decaduti.
Tale disciplina ha la finalità di impedire, mediante l'applicazione di
standard minimi, uno sviluppo disordinato del territorio e la consumazione del suolo in presenza di “
vuoti urbanistici”.
Pertanto, l’articolo 9, nonostante contenga la puntuale quantificazione degli interventi edilizi e dei limiti di cubatura e di superficie ammessi, viene unanimemente qualificato come
principio fondamentale in materia di
governo del territorio e non come norma di dettaglio.
Alle Regioni è lasciata una facoltà di derogare a tali limiti, ma solo in senso più restrittivo, operando cioè un innalzamento della tutela ed un conseguente restringimento delle possibilità edificatorie.
Il primo comma consente alla lettera a) gli interventi conservativi degli immobili esistenti, vale a dire la manutenzione ordinaria, straordinaria e il restauro e risanamento conservativo (per la definizione di ciascuna categoria di intervento si rimanda all’art.
3 del T.U.).
La lettera b), invece, si occupa delle nuove edificazioni residenziali e produttive al di fuori dei centri abitati, che sono ammesse solo nei limiti di densità fondiaria in essa stabiliti. L’estensione anche ai complessi produttivi del limite volumetrico viene giudicata ragionevole dalla giurisprudenza costituzionale, poiché trova giustificazione nell’esigenza di garantire la coerenza logica e sistematica della normativa.
Il secondo comma è espressione di una regola generale e imperativa che impone, ai fini degli interventi diretti costruttivi, il rispetto delle previsioni del piano regolatore generale richiedenti, per una determinata zona, la pianificazione di dettaglio.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, corollari immediati di tale principio fondamentale sono: a) che quando lo strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba aver luogo mediante un piano di livello inferiore, il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace, ovvero quando è concluso il relativo procedimento; b) in presenza di una normativa urbanistica generale, che preveda per il rilascio del titolo edilizio in una determinata zona l'esistenza di un piano attuativo, non è consentito superare tale prescrizione facendo leva sulla situazione di sufficiente urbanizzazione della zona stessa; c) l’insurrogabilità dell'assenza del piano attuativo con l'imposizione di opere di urbanizzazione all'atto del rilascio del titolo edilizio.
L'unica deroga a tale principio riguarda l'ipotesi del “
lotto intercluso” che si realizza allorché l'area edificabile di proprietà del richiedente il permesso di costruire sia l'unica a non essere stata ancora edificata, si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni, sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione (primarie e secondarie) previste dagli strumenti urbanistici e sia valorizzata da un progetto edilizio del tutto conforme al piano regolatore generale.
Qualora non ricorrano esattamente tali circostanze di fatto, in mancanza di pianificazione attuativa sono ammessi solo gli interventi conservativi, nonché la ristrutturazione edilizia nei limiti e nel rispetto delle prescrizioni fissate dallo stesso comma 2 dell’articolo 9.