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Responsabilitą da reato degli enti -

Reati tributari e responsabilitą degli enti collettivi

TESI MOLTO VENDUTA
AUTORE:
ANNO ACCADEMICO: 2020
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Trento
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Il contributo propone di analizzare le possibili implicazioni del recente inserimento di alcune delle fattispecie di reato contenute nel D. lgs. 10 marzo 2000, n. 74 ("Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto") all’interno del novero dei c.d. reati-presupposto della responsabilità degli enti, ai sensi del D. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche).
Fin dalla previsione dell’insieme di regole che permette di ascrivere una forma di responsabilità “amministrativa da reato” alle personnes morales, dottrina e giurisprudenza hanno discusso in merito all’opportunità di aggiungere all’elenco di cui agli articoli 24 bis e seguenti anche le figurae criminis attinenti alla criminalità fiscale.
È soltanto grazie alla spinta proveniente dall’ordinamento eurounitario (attraverso l’emanazione della Direttiva UE 2017/1371, la c.d. Direttiva PIF) che, quasi un ventennio dopo l’entrata in vigore della disciplina de qua, il nostro legislatore ha provveduto a colmare una lacuna ingiustificata: evidente la connaturale propensione degli illeciti penal-tributari, con la chiara finalità di conseguimento di un indebito profitto che caratterizza le condotte di cui i medesimi si compongono, ad essere consumati soprattutto nel contesto operativo aziendale, che li porta, a loro volta, ad essere inglobati nell’ormai rinomato fenomeno criminologico della c.d. criminalità di impresa.
Al fine di tutelare appieno gli interessi finanziari dell’Unione Europea, la medesima ha imposto agli Stati membri di configurare una forma di responsabilità delle persone giuridiche, in particolare per quelle fattispecie criminose che rientrano nel concetto di “frode” che lede dette prerogative.
Pertanto, il modo più adatto allo scopo di adempiere alle prescrizioni del Parlamento europeo è stato, per il legislatore nazionale, quello di utilizzare lo scheletro del D. lgs. 231/2001, inserendo gli illeciti in questione tra i reati per i quali l’ente collettivo può essere considerato responsabile, ampliandone, altresì, la cerchia, rispetto alle fattispecie previste dalla Direttiva PIF mediante l’aggiunta, con l’emanazione del c.d. Decreto fiscale 2019 (D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, conv. in L. 19 dicembre 2019, n. 157) di ulteriori reati di cui alla Legge sui reati tributari.
Ciò, da una parte, al fine di tutelare in tal maniera il gettito prodotto non solo dall’imposta sul valore aggiunto, ma anche dalle imposte sui redditi, dall’altra, allo scopo di adempiere alla sentita necessità di coerenza sistematica.
Dunque, chi scrive ritiene decisamente opportuna una scelta di tal fatta, finalizzata a porre una volta per tutte al banco degli imputati soggetti privi di connotati di fisicità per la consumazione di un illecito penal-tributario.
Tuttavia, esaminando il medesimo intervento legislativo, alla luce di una previa analisi del complicato rapporto che da sempre sussiste tra il particolare settore degli illeciti tributari (amministrativi e penali) e una responsabilità di tipo “collettivo”, sono emerse molteplici contraddizioni e ulteriori mancanze che esigono una soluzione repentina da parte dello stesso legislatore, prima di una eventuale dichiarazione di illegittimità di una riforma così formulata.

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