AUTORE:
Marialessandra Tolomeo
ANNO ACCADEMICO: 2022
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: UKE - Universitą Kore di Enna
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Affrontare il tema dell’eutanasia significa non solo riflettere sul modo in cui nella nostra società si affronta la malattia terminale e inguaribile, ma anche su come viene vista e accettata la morte sotto vari aspetti.
In alcuni paesi i medici, probabilmente supportati da una legislazione meno conservativa in tema “fine vita”, sono notevolmente più inclini ad accettare le richieste non solo dei pazienti terminali incurabili ma anche di pazienti affetti da gravi disturbi depressivi.
Naturalmente, la condizione clinica di ciascun paziente ha delle peculiarità che la rendono unica e differente da quella di tutti gli altri; ciò rende la tematica molto complessa e rende necessaria l’individuazione di elementi chiave in grado di discriminare le varie situazioni.
Tali elementi sicuramente possono essere individuati nella presenza di una disabilità grave o di una malattia inguaribile tale da inficiare fortemente la qualità e le aspettative di vita del soggetto e la concomitante assenza di terapie, strumenti, opzioni in grado di risolvere o comunque migliorare sensibilmente tale situazione.
Alla luce delle più recenti applicazioni di eutanasia in alcuni paesi (Belgio e Olanda) a soggetti fisicamente in salute ma affetti unicamente da disturbi depressivi maggiori, proposito di questo elaborato è, in prima istanza, valutare se questa tipologia di disturbo rispetti quei requisiti di irreversibilità a cui si faceva prima cenno, e, in secondo luogo, riflettere sulla “capacità di decidere” di questi individui, dove per “capacità” si intende la possibilità di un soggetto di scegliere “consapevolmente”.
Nell’episodio di depressione maggiore grave, la capacità di decidere, di ragionare a mente lucida, infatti, può essere minata in modo variabile dalla depressione stessa, che, non coinvolgendo, per lo meno inizialmente, la sfera fisica, può essere inquadrata come un “disturbo dell’umore” in grado di danneggiare gravemente la sfera affettiva, nonché le funzioni cognitive, e quindi anche decisionali, dei pazienti. Specifiche cure antidepressive o l’eliminazione delle cause primarie responsabili della sua insorgenza, magari dopo molto tempo, potrebbero aiutare e far scomparire il desiderio di morire, restituire le facoltà e la competenza a decidere.
Di fronte a queste considerazioni, ci si chiede dunque se sia corretto estendere l’applicazione di tutte quelle procedure connesse all’interruzione di vita a tali pazienti; se, con riferimento a tutti gli altri pazienti, non sarebbe dunque il caso di valutare di routine la presenza di un concomitante disturbo depressivo grave tale da influenzarne le scelte e se un adeguato supporto psicologico potrebbero invertire il corso degli eventi.
Successivamente, l’elaborato si propone di fornire alcuni cenni definitori in materia di eutanasia, esaminando la sua definizione giuridica e distinguendola dal suicidio assistito.
Il terzo capitolo concentrerà l’attenzione sui casi giudiziari italiani che sono stati capaci, nel corso degli anni, di attirare maggiormente l’interesse nell’opinione pubblica e sul tentativo di regolamentare l’eutanasia mediante una proposta referendaria.
Il quarto capitolo effettuerà un’analisi comparativa di alcuni ordinamenti (nel caso di specie: Canada, Inghilterra e USA), su come sia stata regolamentata l’eutanasia, anche per i pazienti in stato di depressione.
Nel quinto capitolo verranno analizzate le varie correnti filosofiche che hanno influenzato il tema di fine vita e infine il sesto capitolo riporterà le varie posizioni degli ordinamenti religiosi con speciale richiamo alla leggendaria figura dell’accabadora, la “sacerdotessa della morte” nella cultura sarda.
In conclusione, si porrà il problema se il concetto di “dignità” e di “autodeterminazione” della persona possa essere esteso al tal punto da accogliere una legittimazione uniforme dell’eutanasia a chi si trova nella condizione di vivere una profonda crisi di coscienza e un’alterazione profonda della propria personalità, nonostante mantenga la propria integrità fisica.
In alcuni paesi i medici, probabilmente supportati da una legislazione meno conservativa in tema “fine vita”, sono notevolmente più inclini ad accettare le richieste non solo dei pazienti terminali incurabili ma anche di pazienti affetti da gravi disturbi depressivi.
Naturalmente, la condizione clinica di ciascun paziente ha delle peculiarità che la rendono unica e differente da quella di tutti gli altri; ciò rende la tematica molto complessa e rende necessaria l’individuazione di elementi chiave in grado di discriminare le varie situazioni.
Tali elementi sicuramente possono essere individuati nella presenza di una disabilità grave o di una malattia inguaribile tale da inficiare fortemente la qualità e le aspettative di vita del soggetto e la concomitante assenza di terapie, strumenti, opzioni in grado di risolvere o comunque migliorare sensibilmente tale situazione.
Alla luce delle più recenti applicazioni di eutanasia in alcuni paesi (Belgio e Olanda) a soggetti fisicamente in salute ma affetti unicamente da disturbi depressivi maggiori, proposito di questo elaborato è, in prima istanza, valutare se questa tipologia di disturbo rispetti quei requisiti di irreversibilità a cui si faceva prima cenno, e, in secondo luogo, riflettere sulla “capacità di decidere” di questi individui, dove per “capacità” si intende la possibilità di un soggetto di scegliere “consapevolmente”.
Nell’episodio di depressione maggiore grave, la capacità di decidere, di ragionare a mente lucida, infatti, può essere minata in modo variabile dalla depressione stessa, che, non coinvolgendo, per lo meno inizialmente, la sfera fisica, può essere inquadrata come un “disturbo dell’umore” in grado di danneggiare gravemente la sfera affettiva, nonché le funzioni cognitive, e quindi anche decisionali, dei pazienti. Specifiche cure antidepressive o l’eliminazione delle cause primarie responsabili della sua insorgenza, magari dopo molto tempo, potrebbero aiutare e far scomparire il desiderio di morire, restituire le facoltà e la competenza a decidere.
Di fronte a queste considerazioni, ci si chiede dunque se sia corretto estendere l’applicazione di tutte quelle procedure connesse all’interruzione di vita a tali pazienti; se, con riferimento a tutti gli altri pazienti, non sarebbe dunque il caso di valutare di routine la presenza di un concomitante disturbo depressivo grave tale da influenzarne le scelte e se un adeguato supporto psicologico potrebbero invertire il corso degli eventi.
Successivamente, l’elaborato si propone di fornire alcuni cenni definitori in materia di eutanasia, esaminando la sua definizione giuridica e distinguendola dal suicidio assistito.
Il terzo capitolo concentrerà l’attenzione sui casi giudiziari italiani che sono stati capaci, nel corso degli anni, di attirare maggiormente l’interesse nell’opinione pubblica e sul tentativo di regolamentare l’eutanasia mediante una proposta referendaria.
Il quarto capitolo effettuerà un’analisi comparativa di alcuni ordinamenti (nel caso di specie: Canada, Inghilterra e USA), su come sia stata regolamentata l’eutanasia, anche per i pazienti in stato di depressione.
Nel quinto capitolo verranno analizzate le varie correnti filosofiche che hanno influenzato il tema di fine vita e infine il sesto capitolo riporterà le varie posizioni degli ordinamenti religiosi con speciale richiamo alla leggendaria figura dell’accabadora, la “sacerdotessa della morte” nella cultura sarda.
In conclusione, si porrà il problema se il concetto di “dignità” e di “autodeterminazione” della persona possa essere esteso al tal punto da accogliere una legittimazione uniforme dell’eutanasia a chi si trova nella condizione di vivere una profonda crisi di coscienza e un’alterazione profonda della propria personalità, nonostante mantenga la propria integrità fisica.