AUTORE:
Andrea D'Aquino
ANNO ACCADEMICO: 2018
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi Roma Tre
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Il presente lavoro di tesi ha ad oggetto la legittima difesa, che, in sede di teoria generale del diritto, viene fatta rientrare tra quelle che sono comunemente definite “cause di giustificazione del reato”, o anche esimenti e scriminanti, la cui ratio si fonda su una valutazione complessiva operata dall’ordinamento, che si traduce nel riconoscimento al soggetto di una facoltà giuridicamente garantita o nel dovere giuridico di realizzare un fatto che altrimenti – cioè in mancanza della causa di giustificazione – non potrebbe essere considerato lecito.
Con riferimento allo specifico presupposto istituzionale della legittima difesa, l’orientamento prevalente è quello di ritenere assente qualsivoglia manifestazione di antigiuridicità, facendo da ciò derivare l’impunità del fatto commesso per respingere l’aggressione.
In altre parole, laddove gli organi dello Stato si trovino nella materiale impossibilità di intervenire tempestivamente a salvaguardia della vittima ingiustamente offesa, quest’ultima è autorizzata – o delegata – ex lege alla immediata difesa per evitare che il diritto sia destinato a soccombere a fronte dell’altrui violenza, utilizzando i mezzi a sua disposizione.
In sostanza, dunque, si tratta di una fattispecie al cospetto della quale il fatto risulta lecito ab origine, dal momento che il medesimo, pur tipico ai sensi di una data fattispecie incriminatrice, risulta giustificato dall’ordinamento giuridico in ragione di un giudizio di bilanciamento degli interessi in gioco e che rende prevalente la tutela del bene aggredito e difeso dalla condotta scriminata rispetto a quello dell’aggressore, leso dalla condotta scriminata.
La ragione della scelta di trattare questo argomento risiede, principalmente, nel fatto che la legittima difesa rappresenta un istituto giuridico che si arricchisce con sempre maggiore frequenza di nuovi contenuti o nuove fonti, tanto da doversi, oramai, persino considerare controverso il nuovo volto che essa è venuta ad assumere, sotto il profilo della proporzione, in seguito alla spinta di contingenti impulsi schiettamente politici.
Invero, essa è, oggi come ieri, la scriminante che più delle altre risulta sottoposta a continui dibattiti dottrinari, ma anche mediatici, sovente con l’obiettivo di ampliare la portata applicativa dell’art. 52 del c.p.. Ecco la ragione per la quale una riflessione critica sull’istituto in esame si rivela indispensabile per valutare lo stato dell’arte in merito alla sua configurabilità nelle varie fattispecie concrete.
Dal punto di vista storico, la scriminante della legittima difesa nasce con il diritto romano ed è stata regolata dapprima nella legge delle Dodici Tavole e poi nel Digesto, da cui deriva il celebre brocardo “vim vi repellere licet” – “è lecito respingere la violenza con la violenza” –.
Da subito l’istituto si è caratterizzato per la coesistenza di due elementi specifici: l’ingiustizia dell’aggressione – “iniusta aggressio” – e l’imminenza del pericolo – “periculum praesens” – per difendere non un diritto di proprietà, bensì il bene supremo della vita. Si trattava, e tuttora si tratta, di requisiti “non alternativi”, ma che dovevano – devono – sussistere contestualmente.
Nel corso del tempo, l'istituto ha subito delle profonde trasformazioni che, sebbene abbiano lasciato inalterato il suo spirito caratterizzante, hanno comunque contribuito ad una sua evoluzione maggiormente garantista per gli interessi confliggenti nei casi concreti in cui essa viene in rilievo.
In particolare, la codificazione preunitaria, che si ispirava al codice francese del 1810, ha considerato la legittima difesa come un istituto speciale nato per tutelare alcuni reati contro la persona. Si dovrà, tuttavia, attendere l’emanazione del codice penale Zanardelli del 1889, per vedere l’istituto divenire di carattere generale. Il codice Rocco del 1930, con l’art. 52, tuttora vigente, a mente del quale “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”, ha segnato una tappa significativa, in quanto ha esteso la difesa anche alle cose, che fino ad allora non erano lecitamente difendibili, e ha introdotto il fondamentale principio di proporzione, inteso quale garanzia al fine di impedire che a fronte della protezione di interessi di carattere meramente patrimoniale, potessero rischiare di venire sacrificati interessi di importanza indubbiamente maggiore, quale il bene supremo della vita.
Orbene, questa indagine, dunque, si propone di esaminare il testo normativo, come impostato nel Codice Rocco del 1930, al fine di rispondere alla domanda se così come redatto esso assicura efficace copertura a tutte le fattispecie che concretamente vengono in rilievo nella quotidianità, oppure necessiti di un intervento legislativo riformatore.
Con riferimento allo specifico presupposto istituzionale della legittima difesa, l’orientamento prevalente è quello di ritenere assente qualsivoglia manifestazione di antigiuridicità, facendo da ciò derivare l’impunità del fatto commesso per respingere l’aggressione.
In altre parole, laddove gli organi dello Stato si trovino nella materiale impossibilità di intervenire tempestivamente a salvaguardia della vittima ingiustamente offesa, quest’ultima è autorizzata – o delegata – ex lege alla immediata difesa per evitare che il diritto sia destinato a soccombere a fronte dell’altrui violenza, utilizzando i mezzi a sua disposizione.
In sostanza, dunque, si tratta di una fattispecie al cospetto della quale il fatto risulta lecito ab origine, dal momento che il medesimo, pur tipico ai sensi di una data fattispecie incriminatrice, risulta giustificato dall’ordinamento giuridico in ragione di un giudizio di bilanciamento degli interessi in gioco e che rende prevalente la tutela del bene aggredito e difeso dalla condotta scriminata rispetto a quello dell’aggressore, leso dalla condotta scriminata.
La ragione della scelta di trattare questo argomento risiede, principalmente, nel fatto che la legittima difesa rappresenta un istituto giuridico che si arricchisce con sempre maggiore frequenza di nuovi contenuti o nuove fonti, tanto da doversi, oramai, persino considerare controverso il nuovo volto che essa è venuta ad assumere, sotto il profilo della proporzione, in seguito alla spinta di contingenti impulsi schiettamente politici.
Invero, essa è, oggi come ieri, la scriminante che più delle altre risulta sottoposta a continui dibattiti dottrinari, ma anche mediatici, sovente con l’obiettivo di ampliare la portata applicativa dell’art. 52 del c.p.. Ecco la ragione per la quale una riflessione critica sull’istituto in esame si rivela indispensabile per valutare lo stato dell’arte in merito alla sua configurabilità nelle varie fattispecie concrete.
Dal punto di vista storico, la scriminante della legittima difesa nasce con il diritto romano ed è stata regolata dapprima nella legge delle Dodici Tavole e poi nel Digesto, da cui deriva il celebre brocardo “vim vi repellere licet” – “è lecito respingere la violenza con la violenza” –.
Da subito l’istituto si è caratterizzato per la coesistenza di due elementi specifici: l’ingiustizia dell’aggressione – “iniusta aggressio” – e l’imminenza del pericolo – “periculum praesens” – per difendere non un diritto di proprietà, bensì il bene supremo della vita. Si trattava, e tuttora si tratta, di requisiti “non alternativi”, ma che dovevano – devono – sussistere contestualmente.
Nel corso del tempo, l'istituto ha subito delle profonde trasformazioni che, sebbene abbiano lasciato inalterato il suo spirito caratterizzante, hanno comunque contribuito ad una sua evoluzione maggiormente garantista per gli interessi confliggenti nei casi concreti in cui essa viene in rilievo.
In particolare, la codificazione preunitaria, che si ispirava al codice francese del 1810, ha considerato la legittima difesa come un istituto speciale nato per tutelare alcuni reati contro la persona. Si dovrà, tuttavia, attendere l’emanazione del codice penale Zanardelli del 1889, per vedere l’istituto divenire di carattere generale. Il codice Rocco del 1930, con l’art. 52, tuttora vigente, a mente del quale “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”, ha segnato una tappa significativa, in quanto ha esteso la difesa anche alle cose, che fino ad allora non erano lecitamente difendibili, e ha introdotto il fondamentale principio di proporzione, inteso quale garanzia al fine di impedire che a fronte della protezione di interessi di carattere meramente patrimoniale, potessero rischiare di venire sacrificati interessi di importanza indubbiamente maggiore, quale il bene supremo della vita.
Orbene, questa indagine, dunque, si propone di esaminare il testo normativo, come impostato nel Codice Rocco del 1930, al fine di rispondere alla domanda se così come redatto esso assicura efficace copertura a tutte le fattispecie che concretamente vengono in rilievo nella quotidianità, oppure necessiti di un intervento legislativo riformatore.