AUTORE:
Vito De Giorgio
ANNO ACCADEMICO: 2019
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Bologna
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
La Grande Crisi Finanziaria ha generato una rivoluzione “darwiniana” nella disciplina della crisi d’impresa, atta a soppiantare la cultura dell’emergenza in favore di una logica preventiva della crisi. La scintilla innescatasi con riguardo ai gruppi bancari, stante la rilevanza del gruppo societario quale forma privilegiata della “grande impresa” e il rischio contagio che discende dalla sua conformazione strutturale, ha superato i confini della disciplina speciale bancaria ponendo una serie di problemi di carattere generale. Tra questi, la mancanza di una disciplina della governance delle società in stato di crisi che impone all’interprete di enucleare dall’impianto normativo uno statuto speciale dell’impresa in distress che prescinda dalla forma organizzativa concretamente adottata. Negli ultimi anni, sotto l’influenza delle scienze aziendalistiche e della soft law, si è registrato un progressivo arretramento del baricentro del diritto della crisi d’impresa, tanto da far parlare la dottrina di sistema «pre-concorsuale», fondato non soltanto su strumenti negoziali di soluzione della crisi, ma anche (e ancor prima) sull’imposizione di modelli organizzativi funzionali alla sua prevenzione. Nel gruppo societario, valorizzando l'organizzazione di gruppo in senso economico, si assiste ad una trasformazione qualitativa dell’attività di direzione e coordinamento: da fatto produttivo di effetti giuridici avversi a esercizio di un’attività d’impresa unitaria a livello consolidato e dunque a strumento di pianificazione e gestione della crisi, quale fase possibile (o probabile) della vita dell'impresa. Si propone di enucleare dal sistema normativo vigente regole cogenti indirizzate agli amministratori della capogruppo in grado di garantire la prevenzione o la gestione efficiente della crisi dell’impresa di gruppo. A tal proposito, l’introduzione delle misure di allerta, espressione del modello dell’early warning, è apprezzabile, ma non è sufficiente se non affiancata da precisi doveri di governance funzionali alla prevenzione della crisi e alla sua gestione efficiente secondo modelli comportamentali pattuiti ex ante. Ciò comporta una peculiare declinazione dei doveri degli amministratori della holding nell’ottica della previsione e prevenzione della crisi. In particolare, la corretta concretizzazione dei canoni di correttezza gestionale ai quali deve essere improntata l’attività di direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 c.c. delinea un generale dovere di prevenzione della crisi che fa da pendant al generale dovere di diligenza nell’azione amministrativa, e va rapportato alla natura e alle dimensioni dell’impresa. In prospettiva top-down, la pianificazione della crisi si traduce nella gestione di una fase ordinaria della vita dell’impresa, alla quale si lega il dovere di monitorare lo stato di salute delle entità che compongono il gruppo. Inoltre, la consacrazione in seno al novellato art. 2086 c.c. del dovere di predisporre assetti organizzativi adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa a principio immanente dell’ordinamento conferma la strumentalità dell’adeguatezza organizzativa all’efficacia dell’attività di pianificazione. Si tratta di un dovere dinamico che opera non soltanto nella fase genetica dell’impresa, ma durante tutto il corso della sua vita, realizzando una costante attività di prognosi degli eventi futuri suscettibili di incidere sulla stabilità dell’impresa unitaria di gruppo. Il corretto adempimento dei doveri illustrati implica, altresì, la necessità di predisporre un sistema di flussi informativi bidirezionale in grado di cogliere tempestivamente gli eventuali indici di deterioramento di una o più entità del gruppo, nonché di ricorrere alla fonte regolamentare al fine di definire ex ante le modalità esecutive della direzione unitaria, e prima ancora di dotarsi di piani e misure di preparazione alla crisi (c.d. recovery plans), da intendersi quali disposizioni testamentarie che predeterminano il “trattamento terapeutico” al quale l’impresa intende sottoporsi nell’eventualità in cui si verifichi in futuro una situazione di deterioramento. Tale impostazione trova conferma nella Proposta di Direttiva c.d. Insolvency che riconosce un ruolo centrale alle misure di ristrutturazione preventiva e rafforza i presidi preventivi rispetto agli scenari di deterioramento e insolvenza. Da ultimo, ci si interroga sulla sussistenza di un dovere di soccorso e assistenza finanziaria della entità in crisi gravante in capo alla controllante o a ogni altra “consorella” in bonis. Alla luce dell’internal capital market del gruppo e della «posizione di garanzia» della holding rispetto alla stabilità finanziaria dell’impresa unitaria, si inquadra il sostegno finanziario infragruppo quale manifestazione tipica dell’attività di direzione e coordinamento, onde garantire a tutte le componenti una dotazione patrimoniale idonea a perseguire la frazione di interesse sociale (di gruppo) loro assegnata.