AUTORE:
Maura Contu
ANNO ACCADEMICO: 2018
TIPOLOGIA: Laurea liv. I
ATENEO: Universitą degli Studi di Cagliari
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Vi illustro la mia tesi, dove ho proceduto ad analizzare la condizione giuridica della donna in Sardegna nel particolare contesto storico del medioevo. Per fare questa analisi, ho approfondito i diversi capitoli dedicati alla donna, in primis dagli Statuti Sassaresi emanati nella Sassari comunale del 1316 e successivamente dalla Carta de Logu. Dagli Statuti Sassaresi appunto, i quali ebbero origine e si perfezionarono in un arco di tempo collocabile tra il 1272 e il 1316, che furono pubblicati sotto la podesteria di Cavallino de Honestis, esattamente alla fine del suo mandato tra l’agosto e l’ottobre 1316. Sassari a quel tempo era un comune “pazionato”, soggetto, cioè, al controllo politico di una realtà dominante, quella di Pisa prima e Genova poi, dopo il patto della Meloria del 1288. Gli Statuti rappresentano non già una codificazione integralmente nuova ma una riproduzione, se non altro parziale, di norme esistenti che avevano subito modificazioni ed adattamenti per via dei successivi mutamenti introdotti nell’organizzazione comunale per i nuovi bisogni della vita civile e per il variare della vita politica. Le norme contenute negli Statuti rimandano ad un vastissimo bacino di consuetudini locali, testimoniando la fusione del tutto originale tra il diritto statutario comunale e il diritto consuetudinario sardo. Gli Statuti sassaresi, infatti, sono un insieme di disposizioni giuridiche che nascono dall’incontro di due tradizioni normative: quella sarda del Giudicato di Torres o Logudoro e quella comunale di derivazione genovese soprattutto un’origine pisana, la cui ingerenza nel comune cessò soltanto nel 1288, dopo la battaglia della Meloria. Gli Statuti sono divisi in tre parti, alle quali nello stesso Codice dà l'appellativo di libri che regolavano l’amministrazione della Sassari comunale e il diritto pubblico nel primo, il diritto civile e la situazione dotale nel secondo e il diritto criminale nel terzo libro. La Carta de Logu si ipotizza abbia avuto notevoli influenze statutarie dovute al fatto che Mariano IV, nel 1369, prese d’assalto prima la città e poi il castello di Sassari e vi rimase padrone per due anni, respingendo gli aragonesi, che con lui si contendevano il principato dell'isola. Dal confronto con gli Statuti Sassaresi notiamo molte similitudini, dal momento che la Carta contiene diverse ordinazioni mutuate dagli Statuti, i quali sono rimasti oscurati dalla Carta de Logu di Eleonora d’Arborea. La notorietà è dovuta principalmente al fatto che la Carta, che già si estendeva a buona parte della Sardegna, venne confermata come legge generale dell’isola, al tempo dominata dagli aragonesi, con decisione delle Cortes del 1421, fatta eccezione per le città di Alghero e Cagliari che avevano adottato le norme delle Costituzioni. Le norme, che riguardavano le donne sono sparse in tutti e tre i libri degli Statuti e nei vari capitoli della Carta illustrano la donna nella famiglia, sia come donna sposata, sia come madre che accudisce ed educa la prole, ma anche la donna come lavoratrice, oltreché nella situazione dotale ed ereditaria. Dall’analisi dei testi si percorre la sua capacità giuridica e quella relativa ai diritti e ai doveri. La condizione giuridica della donna variava sulla base della scelta del regime matrimoniale “assa sardesca” o “dotale” che nella Carta de Logu viene chiamata “assa pisanisca”. Nel caso di matrimonio alla sardesca, la moglie poteva stipulare contratti e compiere qualsiasi atto di alienazione sui propri beni con il consenso del marito, o, in mancanza di tale consenso, per necessità poteva farsi assistere da tre parenti alla presenza del Podestà o del Consiglio Maggiore. Nella Carta invece era stabilito che la donna fosse assistita da quattro tra i parenti più prossimi (propinquos) e sempre in caso di provata necessità ma pur sempre dinanzi al podestà e al Consiglio Maggiore. Nel matrimonio assa sardisca, la dote della donna andava a confondersi con i beni maritali e questi venivano poi divisi a metà in occasione dello scioglimento del vincolo nuziale. Lo scioglimento del matrimonio comportava, infatti, la immediata restituzione della dote ai parenti della donna anche se tra gli atti notarili si trovavano tuttavia numerosi casi di rinuncia a questa norma. Il regime di comunione dei beni praticato in Sardegna, comunemente detto “assa sardisca” (alla sardesca) o “coivìu a mes’a pare” (a metà), è stato sempre oggetto di discussioni tra coloro i quali hanno sostenuto la prevalenza della comunione universale rispetto a quella limitata ai soli beni acquistati in costanza di matrimonio. Secondo Besta si trattava di una comunione universale. A sostegno di tale teoria pose in risalto il testamento di Antonio Scardirone del 1557. Pertanto, in caso di morte o separazione, i beni portati da ciascuno dei coniugi potevano tornare alla famiglia d’origine per evitare la suddivisione del patrimonio familiare.