L'art. 15 riproduce integralmente la disposizione del corrispondente articolo del codice del 1865. Nei lavori preparatori del codice non vi si trova che un accenno fugace, quello della Commissione reale, la quale notava che si poteva dubitare della necessità di una disposizione come quella in esame, perché l'abrogazione totale o parziale è sempre opera legislativa, e che se il decidere se una legge sia stata abrogata (quando non si tratti di abrogazione espressa) può dar luogo a difficoltà, queste concernono l'interpretazione, che un precetto legislativo non può eliminare. La Commissione, tuttavia, decise di conservare l'art. 15, che non ha dato luogo ad alcun serio dubbio, e che serve, se non altro, ad affermare che nel nostro diritto la consuetudine non può mai avere virtù abrogativa delle leggi.
Le leggi, come tutti gli organismi viventi, non possono durare in eterno.
Create per disciplinare rapporti umani, che sono soggetti ad evoluzione, che si trasformano o si eliminano, hanno la stessa loro vita e sostanzialmente, se non formalmente, non possono sopravvivere ad essi. Anche la legge ha una biologia. Il ciclo del suo impero e più o meno lungo, ma è destinato ad esaurirsi. Tanto più rapida è la trasformazione sociale tanto più breve è la vita della legge. Col continuo divenire della società, col rinnovamento morale e materiale dei popoli, a causa delle rivoluzioni politiche e di quelle tecniche, le antiche leggi cedono il posto alle nuove o restano inoperose per aver compiuto il loro ufficio. Oggi (a differenza di ciò che si osserva presso altri popoli, come quello inglese) è difficile indicare leggi in vigore che abbiano una data veneranda. Pochissime superano i cento anni.
La storia della legislazione è in gran parte la storia civile di un popolo.
La successione delle leggi ha luogo mediante l'abrogazione.
Questa può aversi in più modi: a) per autolimitazione della legge nel tempo; b) per dichiarazione espressa di una legge posteriore; c) per incompatibilità fra le nuove disposizioni e le precedenti; d) perché la legge nuova regola intera materia già regolata dalla legge precedente.
L'art. 15 non accenna al primo modo di abrogazione, esigendo sempre un rapporto di successione abrogativo fra la legge antica e la nuova. Trattasi di un'imperfezione legislativa. Vi sono, infatti, molte leggi temporanee, che hanno un periodo di vita prefissato nella legge stessa.
Così con legge si stabiliscono facilitazioni (esenzioni fiscali, sussidi, contributi, facilitazioni nei trasporti, ecc.) ovvero divieti (di esportazione o di fabbricazione di determinate merci, di concorsi per uffici pubblici, ecc.) per un determinato tempo, trascorso il quale la legge cessa automaticamente di avere vigore. Ciò si verifica con maggiore frequenza in periodi eccezionali, come quelli della guerra, durante la quale la maggior parte dei provvedimenti legislativi furono emessi per aver vigore "fino alla conclusione della pace", e decaddero con la data di detto avvenimento. Intervengono spesso leggi di proroga, che mantengono in vita la legge prorogata fino al nuovo termine.
b) La dichiarazione espressa della nuova legge è la più sicura forma di abrogazione, giacché non lascia sussistere dubbi. Essa è quasi sempre contenuta nelle disposizioni finali della nuova legge, in cui si dichiarano abrogate in tutto o in parte quelle della legge o delle leggi precedenti.
c) L'incompatibilità fra le nuove disposizioni e le precedenti è una forma tacita di abrogazione. Essa si trova, quasi come formula di stile in moltissime leggi ed è motivo di non lievi preoccupazioni per l'interprete. Spetta a lui, invero, riconoscere la incompatibilità fra le disposizioni delle due leggi, e tale accertamento, talvolta, non è privo di difficoltà. L'incompatibilità può aversi tanto se la nuova norma sia diversa dalla precedente, tanto se sia contraria. In entrambi i casi vi è un mutamento della volontà della legge e la nuova annulla la precedente.
d) La regolamentazione integrale della materia già regolata dalla legge anteriore è l'altra forma tacita di abrogazione. Anche qui è chiesto all'interprete un'indagine intesa ad accertare se il legislatore abbia voluto stabilire una generale sistemazione legislativa della materia e non piuttosto completare l'antica con nuove norme. In questo campo ricorrono frequentemente alcuni broccardi: Generi per speciem non derogatur e Lex specialis non derogat generali; ma nella loro assolutezza non sono da seguire.
Si noti che in essi si parla di derogazione e non di abrogazione; ora, per quanto concerne la derogazione non vi è dubbio che si debba esaminare caso per caso se la più recente legge abbia innovato alla precedente.
Che la legge possa essere abrogata dalla desuetudine o dalla consuetudine contra legem, fu lungamente discusso.
Attualmente prevale l'opinione negativa, sebbene non manchino recenti affermazioni per quanto concerne la desuetudine.
In verità, vi sono norme che non sono state mai applicate, sebbene non mai abrogate. Questo lungo periodo d'inerzia, tuttavia, non ha virtù di sopprimerle. La dottrina romana affermava il contrario e il giureconsulto Giuliano ne fa testimonianza.
È vero che l'imperatore Costantino non ammise che l'autorità della consuetudine aut rationem vincat aut legem.; ma sembra definitiva l'osservazione dello Scialoja che l'imperatore si riferisse a consuetudini anteriori alla legge promulgata appunto per bandirle.
Il diritto pubblico romano, però, aveva un sistema affatto diverso dal nostro in tema di formazione della legge e non può essere invocato a favore della tesi contraria al principio dell'art. 15. Si noti che, come è stato sopra accennato, questo articolo è stato mantenuto per affermare appunto che la consuetudine non può valere contro la legge.