(massima n. 1)
La comunicazione di malattia al datore di lavoro prescritta dall'art. 2 del D.L. n. 563 del 1979, convertito in legge n. 33 del 1980, rileva sulla possibilità di prosecuzione del rapporto nella misura in cui la sua omissione impedisca al datore di lavoro di controllare lo stato di malattia e la giustificatezza dell'assenza, ed allo stesso lavoratore di provarla a distanza di tempo, ove si tratti di malattie a carattere transeunte, che non lasciano traccia apprezzabile. Per converso, il lavoratore può provare la giustificatezza dell'assenza, ai sensi dell'art. 2119 c.c., anche successivamente alla malattia, ove sia stato nell'impossibilità incolpevole di effettuare la prescritta comunicazione, ad esempio per gravissima malattia che abbia impedito al medesimo, o ai familiari, perla gravità della situazione clinica e psicologica del momento, di effettuare le prescritte comunicazioni al datore di lavoro. Tali regole trovano applicazione, secondo le circostanze del caso, in base al principio di correttezza e buona fede, anche nella ipotesi di malattia contratta all'estero. (Nella fattispecie la Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto che il comportamento complessivo del lavoratore — il quale, ammalatosi all'estero, si era limitato a trasmettere, via fax, al datore di lavoro, un indecifrabile certificato redatto a mano in lingua portoghese, senza fornire l'indirizzo ove eventualmente effettuare il controllo — non aveva consentito l'accertamento della malattia)