(massima n. 1)
La riconciliazione fra i coniugi - intesa quale situazione di completo ed effettivo ripristino della convivenza, mediante ripresa dei rapporti materiali e spirituali che, caratterizzando il vincolo del matrimonio ed essendo alla base del consorzio familiare, appaiono oggettivamente idonei a dimostrare una seria e comune volontà di conservazione del rapporto, a prescindere da irrilevanti riserve mentali - è fonte non soltanto di effetti processuali, preclusivi del giudizio di separazione in corso, ma altresì di effetti sostanziali, consistenti nel determinare l'inidoneità dei fatti ad essa anteriori - posti in essere durante la convivenza o la separazione di fatto - ad assumere autonomo valore giustificativo di una pronuncia di separazione personale, emessa su domanda successiva all'evento riconciliativo rimasto privo di esito definitivo, con la conseguenza che, ai fini di tale pronuncia e della valutazione dell'addebito, sono utilizzabili soltanto i fatti successivi all'evento medesimo, mentre quelli anteriori possono essere considerati al solo scopo di lumeggiare il contesto storico nel quale va operato l'apprezzamento in ordine all'intollerabilità della convivenza. Ne deriva che tale "riconciliazione" successiva al divorzio non può non avere incidenza, quale fatto sopravvenuto, sulla richiesta di revisione dell'assegno divorzile, trattandosi in verità di una vera e propria sopravvenienza rispetto all'equilibrio anteriore, consegnato, per la sua regolazione, a un giudicato rebus sic stantibus, oramai non più capace di regolare il nuovo e modificato assetto di interessi post-coniugali.