(massima n. 1)
Qualora il compratore, invocando la garanzia di buon funzionamento, chieda, in primo grado, la condanna del venditore ad eliminare i difetti che impediscono alla cosa venduta di funzionare normalmente, è inammissibile, a norma dell'art. 345 c.p.c., la domanda di risoluzione del contratto di vendita fondata sulla garanzia generale per vizi occulti di cui agli artt. 1490 c.c. e ss. Le due domande sono, infatti, fondate su diverse causae petendi, in quanto la garanzia di buon funzionamento, diversamente dalla garanzia per vizi occulti, trova il suo presupposto in uno specifico ed espresso impegno negoziale che ha ad oggetto l'obbligo di assicurare la durata della cosa venduta e può riguardare anche soltanto una parte di detta cosa ed, infine, è collegata al rispetto di termini e di formalità di denunzia ad essa peculiari. Né può invocarsi, in contrario, la norma di cui all'art. 1453 c.c. che consente di domandare anche in appello, la risoluzione del contratto nonostante che il giudizio sia stato promosso per chiedere l'adempimento, in quanto per tale norma è pur sempre necessaria la identità dei fatti e degli elementi concreti che concorrono a formare la causa petendi.