(massima n. 1)
Posto che sia l'arbitrato rituale che quello irrituale hanno natura privata, la differenza tra l'uno e l'altro tipo di arbitrato non può imperniarsi sul rilievo che con il primo le parti abbiano demandato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma va ravvisata nel fatto che, nell'arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 cod. proc. civ., con l'osservanza del regime formale del procedimento arbitrale, mentre nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro (o agli arbitri) la soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà (nella specie, la Corte ha qualificato rituale l'arbitrato in un caso in cui la clausola compromissoria attribuiva all'arbitro unico un potere "decisionale" sulle controversie che potessero insorgere sull'interpretazione ed esecuzione del contratto e difettava di elementi univocamente sintomatici dell'irritualità, mentre il quesito sottoposto all'arbitro faceva esplicito riferimento ad un lodo con "effetto di sentenza"). (Rigetta, App. Venezia, 26 Aprile 2004).