(massima n. 1)
In tema di espropriazione per pubblica utilità, l'art. 23 L. 25 giugno 1865 n. 2359 (abrogato dall'art. 58 D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, a decorrere dal 30 giugno 2003; abrogazione ribadita dall'art. 24 D.L. 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008 n. 133), accordando all'espropriato la facoltà di richiedere che l'espropriazione venga estesa alle frazioni residue dei beni non più suscettibili di un'utile destinazione, gli conferisce non già una posizione di diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo, atteso il carattere discrezionale delle valutazioni necessarie per l'applicazione della menzionata disposizione normativa, la quale presuppone e richiede, oltre l'accertamento della solo parziale inclusione dei fondi nel piano d'esecuzione, anche la valutazione della loro inutilità in relazione alla estensione o della necessità di lavori considerevoli. Ne consegue che il g.o. è carente del potere di conoscere sia dell'adempimento in forma specifica del preteso obbligo di estensione, che della connessa responsabilità risarcitoria della P.A. espropriante, mentre l'eventuale decremento di valore derivato alla frazione residua dall'esecuzione dell'opera pubblica può essere fatto valere dal proprietario solo in sede di opposizione alla stima, quale diritto ad un'indennità comprensiva del suddetto decremento.