(massima n. 1)
Nel rito del lavoro, il divieto di "jus novorum" in grado di appello, di cui all'art. 437, secondo comma, c.p.c. ha ad oggetto le sole eccezioni in senso proprio e non si estende alle eccezioni improprie ed alle mere difese, ossia alle deduzioni volte alla contestazione dei fatti costitutivi e giustificativi allegati dalla controparte a sostegno della pretesa ovvero alle deduzioni che corroborano sul piano difensivo eccezioni gią ritualmente formulate. Ne deriva che, nel giudizio promosso dall'agente verso la preponente per accertare l'unicitą di due rapporti formalmente distinti, il richiamo da parte della societą preponente al diritto, derivante da accordo sindacale, alla risoluzione del primo contratto, operato per sostenere l'affermazione della risoluzione gią avvenuta e da accertare nel processo, non costituisce eccezione in senso stretto bensģ semplice argomento difensivo, non assoggettato alle preclusioni degli artt. 416, comma terzo, 420, comma primo, e 437, comma secondo, c.p.c.. (Nella specie, nell'affermare il principio su esteso, la S.C. ha rilevato l'assenza di "jus novorum" in appello, in quanto la societą aveva, fin dal giudizio di primo grado, dichiarato di aver receduto dal primo contratto, aveva depositato l'accordo sindacale - su cui poi in appello aveva preteso di fondare la risoluzione -, e su detto accordo vi era stato anche il contraddittorio delle parti).