(massima n. 1)
La soggezione anche del giudicato all'interpretazione non comporta che l'interpretazione medesima, in sé e per sé, possa formare oggetto di autonoma azione di mero accertamento, poiché un'azione siffatta si porrebbe in insanabile contraddizione con la stessa ragion d'essere del giudicato che costituisce un punto di partenza imprescindibile, che non può essere rimesso in discussione come tale, ma solo in quanto si tratti di darvi esecuzione, o di trarne comunque effetti giuridici nel processo stesso in cui si è formato ovvero in altro processo. Inoltre, poiché alla base dell'azione di mero accertamento va ravvisato uno stato d'incertezza circa l'esistenza del diritto fatto valere in giudizio, un'azione siffatta non è ipotizzabile ogni qualvolta il diritto risulta cristallizzato nella «certezza» del giudicato di cui si verrebbe inammissibilmente a chiedere al giudice di stabilire il senso ed il significato emettendo una pronuncia giurisdizionale, a sua volta suscettibile di passare in giudicato, venendosi ad instaurare una sequenza inammissibilmente indefinita di accertamenti. A ciò può aggiungersi che nell'ipotesi dell'esistenza di un precedente giudicato l'azione di mero accertamento è inammissibile anche sotto l'ulteriore profilo della carenza d'interesse; appare infatti evidente come non sussista quell'incertezza attuale, che costituisce il presupposto, necessario ed imprescindibile, dell'azione di mero accertamento, tale incertezza potendo concretizzarsi ed attualizzarsi solo in sede di concreta esecuzione del giudicato, qualora sorga contrasto, in precedenza meramente eventuale, in ordine all'interpretazione che debba essere data ad un precedente giudicato esistente tra le parti e divenga attuale quell'incertezza che può eventualmente derivare dalle divergenti interpretazioni del giudicato medesimo.