(massima n. 1)
Nel rito del lavoro, l'appellante principale non ha un diritto soggettivo a replicare con difese scritte all'appello incidentale dell'avversario, essendo tale possibilità prevista, in suo favore, solo in via indiretta, a norma del combinato disposto dell'ultimo comma dell'art. 437 c.p.c. e del secondo comma dell'art. 429 dello stesso codice, come effetto dell'esercizio da parte del giudice del potere discrezionale – che può manifestarsi anche in forma implicita e non è sindacabile in sede di legittimità – di consentire alle parti, quando lo ritenga necessario, il deposito di note difensive. La disparità tra i mezzi di difesa attribuiti all'appellato in via incidentale (appellante principale) – che, per quanto sopra detto, può ordinariamente contare solo sulle difese orali da svolgersi all'udienza di discussione – e i mezzi di difesa attribuiti all'appellato principale (appellante incidentale) – che, ai sensi dell'art. 436 c.p.c. ha, invece, sempre facoltà di presentare una memoria difensiva all'atto della costituzione – non determina, peraltro, violazione né del principio costituzionale di eguaglianza stante la diversità delle rispettive situazioni processuali, né del diritto di difesa, stante la ragionevolezza dell'intervallo temporale (almeno dieci giorni) che, a norma del terzo comma dell'art. 436 c.p.c., è assicurato all'appellante principale per controbattere l'impugnazione incidentale proposta nei suoi confronti.