(massima n. 1)
Con riferimento alla materia delle malattie professionali, oggetto dell'assicurazione obbligatoria di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, l'affermazione dell'esistenza di un rapporto causale efficiente tra la malattia sofferta e l'esposizione al rischio – diretto o ambientale – indotta dalle modalità di svolgimento di una determinata prestazione lavorativa, costituisce causa petendi della domanda diretta a conseguire le prestazioni previste dalla legge di tutela. Conseguentemente, una volta che siano stati indicati come causa della malattia specifici fattori patogeni connessi alle caratteristiche dell'attività lavorativa, e sull'effettività e incidenza di tali caratteristiche si sia esercitato il contraddittorio e fissato il thema decidendum del giudizio d'appello, non può l'assicurato – e neanche il giudice di sua iniziativa – prospettare – e, rispettivamente, ricercare d'ufficio – nella sede di gravame nuovi elementi di fatto che, integrando o sostituendo quelli inizialmente allegati, valgano analogamente a individuare e fondare il diritto del quale si chiede la tutela. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza con cui il giudice d'appello, in un giudizio promosso da un veterinario ricercatore sulla base della tesi che l'angiosarcoma epatico da cui era affetto era stato da lui contratto in occasione e a causa delle indagini seriologiche compiute in merito alla leucosi infettiva dei bovini, aveva ritenuto di non poter prendere in considerazione, per ragioni procedurali, l'ipotesi formulata nella consulenza tecnica espletata nel secondo grado di giudizio, che la malattia tumorale del ricorrente fosse stata indotta dal contatto con campioni di sangue umano infetto da virus epatici).