(massima n. 1)
Ai fini dell'utilizzo, ai sensi dell'art. 500, comma quarto, cod. proc. pen., delle dichiarazioni predibattimentali del testimone, gli "elementi concreti" sulla base dei quali può ritenersi che egli sia stato sottoposto a violenza o minaccia affinchè non deponga ovvero deponga il falso devono consistere, secondo parametri correnti di ragionevolezza e di persuasività, in elementi sintomatici della violenza o dell'intimidazione subita dal teste, purchè connotati da precisione, obiettività e significatività, e quindi idonei ad escludere che la condotta del teste sia frutto non di una pressione subita da terzi, ma dalla sua adesione a modelli devianti, tesi ad anteporre la cura dei propri interessi illeciti rispetto al dovere di testimonianza davanti l'Autorità giudiziaria. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza di merito, relativa ad un tentato omicidio in un contesto di uno scontro tra due gruppi di persone, che aveva fatto uso delle dichiarazioni rese in indagini da un teste che, in dibattimento, aveva modificato la versione dei fatti, senza avere accertato specifici e concreti elementi di coartazione della volontà di quest'ultimo, e ricorrendo ad argomentazioni apodittiche e generalizzanti quali, ad esempio, la maggiore capacità intimidatoria del gruppo degli assalitori rispetto a quella degli assaliti).