(massima n. 1)
La caducazione automatica della misura cautelare conseguente a declaratoria d'incompetenza si verifica e ha ragion d'essere solo quando, a seguito di tale declaratoria, il giudice che deve emettere il nuovo provvedimento è diverso da quello incompetente. (Fattispecie relativa a misura cautelare della custodia in carcere disposta da giudice per le indagini preliminari presso il tribunale, della quale era stata chiesta la cessazione di efficacia, sul rilievo che la corte d'assise, dinanzi alla quale si celebrava il giudizio, aveva dichiarato la propria incompetenza per materia in favore di quella del tribunale, ordinando la trasmissione degli atti al P.M. presso detto tribunale, ai sensi dell'art. 23, comma 1, c.p.p. - così come modificato dalla sentenza n. 76 del 1993 della Corte costituzionale - e che non era stato emesso nuovo provvedimento coercitivo nel termine di legge. Nell'enunciare il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha affermato che nell'ipotesi di declaratoria di incompetenza per materia pronunciata dal giudice dibattimentale, cui consegue la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, occorre aver riguardo alla competenza del giudice per le indagini preliminari, che è una derivazione, se non proprio una proiezione, di quella del giudice del giudizio, al quale la legge fa riferimento per determinare i limiti della giurisdizione sotto il profilo territoriale, della materia e della funzione. Conseguentemente stante l'unicità dell'organo giurisdizionale delle fasi delle indagini per i procedimenti di competenza del tribunale e della corte d'assise, la Suprema Corte ha ritenuto che nella specie difettava il presupposto stesso per l'applicazione dell'art. 27 c.p.p., giacché l'organo che aveva disposto la misura - e cioè il Gip presso il tribunale - era proprio quello dichiarato competente).