(massima n. 1)
Allorché il giudice d'appello non rilevi diversità tra i fatti per cui è intervenuta condanna e quelli descritti nel decreto di citazione a giudizio, bensì diversità tra i fatti risultanti dagli atti e quelli ritenuti sussistenti dal giudice di primo grado, non può dichiarare la nullità della sentenza impugnata e rimettere gli atti al primo giudice — che non può modificare l'imputazione, né procedere per fatti diversi da quelli descritti nel decreto che dispone il giudizio — ma al più, nel rispetto dei limiti posti dall'art. 597 c.p.p., qualificare diversamente i fatti oggetto della sentenza di primo grado, fermo restando il divieto di infliggere una pena più grave in caso di impugnazione del solo imputato, spettando al pubblico ministero procedere nelle forme ordinarie per eventuali fatti nuovi emersi a carico dell'imputato nel corso del dibattimento d'appello, al quale non può applicarsi il secondo comma dell'art. 518 c.p.p. che prevede la facoltà del presidente, su richiesta del P.M., di autorizzare la contestazione in udienza del fatto nuovo.