(massima n. 1)
Anche nell'appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all'amministrazione committente, creditrice dell'opus, un dovere — discendente dall'espresso riferimento contenuto nell'art. 1206 c.c. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva, che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto — di cooperare all'adempimento dell'appaltatore, attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto dall'appaltatore, necessarie affinché quest'ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio. In questo contesto, l'elaborazione di varianti in corso d'opera — di norma costituente una mera facoltà della P.A. (esercitabile in presenza delle condizioni previste dalla legge) — può configurarsi come espressione di un doveroso intervento collaborativo del creditore: tanto avviene allorché la modifica del progetto originario (nella specie, costruzione di un edificio scolastico) sia resa necessaria da sopravvenute disposizioni imperative, legislative e regolamentari, sulla sicurezza degli impianti, giacché, in tal caso, l'opera che fosse realizzata secondo le inizialmente progettate modalità costruttive e istruzioni tecniche esporrebbe l'appaltatore a responsabilità per eventi lesivi dell'incolumità e dell'integrità personale di terzi. Ne consegue che la perdurante, mancata consegna, da parte della stazione appaltante, benché ritualmente sollecitata, dei progetti di adeguamento dell'opera alle sopravvenute prescrizioni normative, ben può determinare impossibilità della prestazione per fatto imputabile al creditore, sul quale sono destinate a ricadere le conseguenze dell'omessa cooperazione necessaria all'adempimento da parte del debitore.