(massima n. 1)
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 593 comma terzo c.p.p., come modificato dall'art. 18 della legge 24 novembre 1999 n. 468 (il quale ha previsto, tra l'altro, la inappellabilità delle sentenze di condanna in relazione alle quali sia stata applicata la sola pena pecuniaria) per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, atteso che l'impossibilità di appellare siffatte sentenze: 1) non viola il principio di ragionevolezza, dal momento che le situazioni prese in esame sono radicalmente diverse proprio in ragione della «qualità» della pena, in quanto, in caso di condanna a pena detentiva, un secondo giudizio di merito trova giustificazione nella maggiore afflittività della sanzione, derivante da una diversa valutazione di gravità del reato, effettuata dal legislatore e, quindi, in definitiva, in ragioni di politica giudiziaria; 2) non lede il diritto di difesa né il principio di parità di trattamento dell'imputato, in quanto, mentre non è «costituzionalizzato» l'obbligo di un secondo grado di merito, è comunque garantito — con il ricorso per cassazione — il riesame della vicenda processuale ed in quanto eguale trattamento è riservato a situazioni similari; 3) non contrasta con il principio di eguaglianza, con particolare riferimento alla nuova formulazione dell'art. 443 c.p.p. (che, a seguito della modifica apportata dalla legge 16 dicembre 1999 n. 479, consente al soggetto condannato, con rito abbreviato, alla sola pena pecuniaria, di proporre appello), in quanto il carattere più «snello», anche in secondo grado, del giudizio abbreviato giustifica tale diversità di trattamento; 4) non determina disparità di trattamento tra coloro che siano stati condannati dal giudice di pace, genericamente, al risarcimento del danno (soggetti ai quali è consentito appellare) e coloro che siano stati condannati dal tribunale, non solo al risarcimento del danno, ma anche al pagamento di una provvisionale, in quanto trattasi di diverse procedure, come reso evidente dall'art. 38 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274, che estende, agli effetti penali, l'impugnazione — nell'ipotesi in cui la legge prevede il ricorso immediato al giudice (art. 21) — a situazioni diverse da quelle contemplate dall'art. 577 c.p.p. (il quale consente l'impugnazione, anche agli effetti penali, di chi sia costituito parte civile in relazione ai reati di ingiuria e diffamazione), né determina disparità tra l'imputato e la parte civile, in quanto, neanche la parte civile può appellare, agli effetti civili e penali, le sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria