(massima n. 1)
Non comportano la nullità del giuramento decisorio o suppletorio la omissione o la mancata menzione nel verbale di udienza dell'ammonizione rivolta dal giudice alla parte, mentre comportano nullità la mancata verbalizzazione della formula e, in particolare, la omessa pronuncia della parola «giuro», che concretizza e riassume la ratio della efficacia di prova legale attribuita dalla legge al mezzo istruttorio in esame. In tal caso, peraltro, non può parlarsi di mancata prestazione — che, ai sensi dell'art. 239 c.p.c., si ha solo quando la parte si sia ingiustificatamente assentata dall'udienza, ovvero si sia rifiutata di prestare il giuramento o di riferirlo all'avversario, con sua conseguente soccombenza rispetto alla domanda o al punto di fatto relativamente al quale il giuramento medesimo è stato ammesso —, ma si tratta di un vizio di forma che inficia il mezzo di prova ed impone, in base alla regola generale di cui all'art. 162 c.p.c., di rinnovarlo di ufficio. Il giuramento deve considerarsi prestato anche quando il giurante abbia apportato alla formula del giuramento stesso aggiunte e varianti che ne costituiscano semplici chiarimenti, senza alternarne la sostanza. Il relativo giudizio, purché adeguatamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità, rientrando nell'apprezzamento di fatto del giudice di merito.