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Sezione II - Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Della causa del contratto

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)
61 Ho poi riportato in questa sede, con alcune modifica­zioni che ne chiariscono la portata, il principio della c.d. astrazione processuale della causa, che si trovava affermato negli articoli 1120 e 1121 cod. civ.
In effetti, bisogna riconoscere che una delle ragioni principali per cui il problema della causa è stato fonte di inter­minabili discussioni non ancora sopite, si deve scorgere nell'infelice sistemazione delle norme del codice, modellate pe­dissequamente sulle corrispondenti di quello francese. Mentre nell'art. 1104 il codice civile considera la causa come elemento essenziale del contratto, negli articoli 1119-1121 regola la causa dell'obbligazione, perpetuando così l'equivoco di una man­canza di discriminazione dei due concetti.
Essendosi nel mio progetto parlato esclusivamente di causa del contratto, gli articoli 1120 e 1121 non dovevano più essere riprodotti in quella sede, perché è chiaro che non si può par­lare di un'astrazione semplicemente processuale della causa del contratto, dato che ogni contratto esprime necessariamente, nella sua realtà oggettiva, l'elemento della causa e ne individua la natura. Invece, il problema dell'astrazione processuale si presenta ogni qualvolta l'assunzione e la esistenza di un'ob­bligazione risulta provata da una dichiarazione (normalmente documentata) che si presenta esternamente come promessa e come riconoscimento di debito, ma non risulta quale sia la fonte mediata (contrattuale o meno) dell'obbligo, ossia la causa oggettiva della promessa o del riconoscimento. In tal caso il principio dell'astrazione processuale porta alla conse­guenza che il creditore deve essere dispensato dal provare quale sia la fonte da cui l'obbligazione deriva, potendo solo il debitore provarne l'inesistenza.
In fondo perciò l'astrazione ora ricordata si risolve in un'eccezione al principio dell'onere della prova, perché il creditore, dovendo dimostrare il fatto costitutivo dell'obbligo, avrebbe il dovere di provare la fonte dalla quale l'obbligo stesso deriva,
essendo la mera dichiarazione di essere debitore non idonea, dal punto di vista sostanziale (salvi i cast di negozio astratto), a produrre un'obbligazione valida.
L'art. 72 risponde, per la sua sede e per la sua formula­zione, ai principi ora cennati, e contribuirà probabilmente a rendere più chiaro e comprensibile il problema della causa.
194 Ho meditato sulla opportunità (autorevolmente contestata) di mantenere la causa come un requisito dei contratti: la soluzione affermativa della questione è stata ritenuta, oltre che aderente alla nostra tradizione, conforme a una concreta necessità giuridica.
La causa ha grande importanza, anzitutto, nei contratti innominati, perché ne fa intendere la liceità. Ma è un estremo suscettibile di una propria funzione anche nei contratti nominati, perché, pur ammettendosi che quando la legge ha creato un tipico schema contrattuale, la causa è in re, dato il riconoscimento esplicito di una tutela allo specifico scopo economico-sociale che il contratto intende realizzare, tuttavia è possibile che, in concreto, questo scopo non si attui e che la causa venga a mancare: allora viene meno la legittimità della relazione intercorsa tra le parti.
195 Non ho nemmeno ritenuto che occorreva definire il concetto di causa.
La dottrina prevalente, da qualche decennio a questa parte, nelle sue manifestazioni più autorevoli, lo ha determinato in un senso che appare congruo anche ai principi del regime circa la relatività dell'autonomia della volontà individuale nei negozi in genere e nei contratti in ispecie; vale a dire ha identificato nella causa quel requisito obiettivo del contratto in cui si riassume la condizione della tutela giuridica alla volontà privata. Alla stregua di questa concezione, la causa è lo scopo intrinseco socialmente apprezzabile del contratto: e, pertanto, senza introdurre nel progetto una definizione dogmatica di questo requisito, mi è sembrato sufficiente ribadire che il contratto deve avere una causa, e che la mancanza di questa lo rende nullo, per sancire
l'esigenza di un interesse sociale che legittimi la tutela della volontà dei contraenti. Basta, del resto, coordinare le disposizioni ora accennate con il sistema positivo vigente e con i principi politici che lo informano, per escludere che ormai sia giustificabile l'attribuire al concetto di causa un contenuto diverso.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
613 Nonostante gli equivoci e le critiche a cui il requisito della causa ha dato luogo, si è stimato necessario conservarlo e anzi conferirgli massima efficienza, non solo e non tanto in omaggio alla secolare tradizione del nostro diritto comune (che ha pure il suo peso), quanto, e soprattutto, perché un codice fascista, ispirato alle esigenze della solidarietà, non può ignorare la nozione della causa senza trascurare quello che deve essere il contenuto socialmente utile del contratto. Bisogna infatti tener fermo, contro il pregiudizio incline a identificare la causa con lo scopo pratico individuale, che la causa richiesta dal diritto non è lo scopo soggettivo, qualunque esso sia, perseguito dal contraente nel caso concreto (che allora non sarebbe ipotizzabile alcun negozio senza una causa), ma è la funzione economico-sociale che il diritto riconosce rilevante ai suoi fini e che sola giustifica la tutela dell'autonomia privata. Funzione pertanto che deve essere non soltanto conforme ai precetti di legge, all'ordine pubblico e al buon costume, ma anche, per i riflessi diffusi dall l'art. 1322 del c.c., secondo comma, rispondente alla necessità che il fine intrinseco del contratto sia socialmente apprezzabile e come tale meritevole della tutela giuridica (n. 603). Questa concezione oggettiva e positiva della causa si trae dall'art. 1345 del c.c., ove si indica il motivo comune alle parti come figura distinta dalla causa, considerata nei precedenti art. 1343 del c.c. e art. 1344 del c.c.; e non è necessario chiarire che il comune motivo che spinge le parti a contrarre è l'intento pratico che esse vogliono attuare, spesso difforme e contrario allo scopo obiettivo la cui realizzazione l'ordinamento giuridico si propone di garantire.
615 Si è avuto cura di omettere ogni riferimento alla falsità della causa che, se vuole significare causa simulata, concerne più propriamente il fenomeno della simulazione, mentre, se vuole esprimere il concetto di causa putativa o erronea, sostanzialmente equivarrebbe a mancanza di causa. Il principio affermato dall'art. 1121 del codice abrogato, secondo il quale la causa si presume sino a prova contraria, non è stato riprodotto in questa sede perché non riguarda il problema della causa del contratto nel senso sopra chiarito, ma ha rilievo solo in relazione alle promesse e alle ricognizioni di debito, che si presentano come avulse dal rapporto fondamentale, e per le quali invece si può legittimamente porre (n. 782) la regola che l'esistenza del rapporto fondamentale si presume fino a prova contraria (art. 1988 del c.c.). Intesa in tal senso, la regola stessa non può avere alcuna funzione nel contratto, che costituisce di per sé il rapporto fondamentale dal quale le singole obbligazioni delle parti derivano. La mancanza di causa è ricordata nell'art. 1418 del c.c., secondo comma. Da questo risulta riaffermato il divieto di costituire negozi astratti, mediante i quali la dichiarazione di volontà risulta separata dalla causa che le sta a base e la giustifica. Nemmeno la promessa di pagamento o la ricognizione di debito (art. 1988 del c.c.) danno origine, come si ripeterà (n. 782), a negozi sostanzialmente astratti. L'una isola la promessa dal suo corrispettivo, l'altra scinde la dichiarazione di ciascuna parte; ma nell'un caso e nell'altro la dichiarazione non è definitivamente staccata dalla ragione giuridica che l'ha determinata. Ciò è tanto vero che, nello stesso giudizio in cui la controparte fa valere la promessa o la ricognizione, il promittente o il dichiarante sono ammessi a provare l'insussistenza del rapporto fondamentale o il suo venir meno, in modo che il giudice è costretto a ricostruire il complesso del negozio da cui la promessa o la ricognizione venne stralciata (c. d. astrazione processuale).