(massima n. 1)
Qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio la inefficacia o invaliditā di tale licenziamento, chiedendo la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni fino alla riammissione in servizio, mentre il datore di lavoro deduca la sussistenza invece di dimissioni del lavoratore, l'indagine del giudice di merito deve essere rigorosa, data la rilevanza dell'accertamento rimessogli, incidente su beni giuridici formanti oggetto di tutela privilegiata da parte dell'ordinamento, e tenere adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie significative ai fini in esame, in relazione anche all'esigenza di rispettare non solo il primo comma dell'art. 2697 c.c., relativo alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dall'attore, ma anche il secondo comma, che pone a carico dell'eccipiente la prova dei fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere dalla controparte, regola che deve ritenersi violata nel caso di un rigetto della domanda basato in sostanza sulla valorizzazione dell'ipotesi delle dimissioni del lavoratore, privilegiata solo per la ritenuta insufficienza della prova del licenziamento. (Nella specie, la lavoratrice tre giorni dopo la cessazione di licenziamento orale e il giudice di merito come sottolineato dalla S.C. aveva trascurato di considerare che, in conseguenza di tale puntuale presa di posizione, sarebbe stato onere del datore di lavoro dimostrare che in realtā la cessazione del rapporto era effetto di un'inequivoca manifestazione di volontā della medesima lavoratrice).