(massima n. 1)
In materia di trasferimento di parte (c.d. ramo) di azienda, tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e 2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112, comma quinto, c.c., sostituito dall'art. 32 del D.L.vo 10 settembre 2003, n. 276) perseguono il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralitā di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilitā sia dell'attitudine a proseguire con continuitā l'attivitā produttiva. La citata direttiva del 1998 richiede, pertanto, che il ramo d'azienda oggetto del trasferimento costituisca un'entitā economica con propria identitā, intesa come insieme di mezzi organizzati per un'attivitā economica, essenziale o accessoria, e, analogamente, l'art. 2112, quinto comma, c.c. si riferisce alla "parte d'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attivitā economica organizzata". Deve, quindi, trattarsi di un'entitā economica organizzata in modo stabile e non destinata all'esecuzione di una sola opera, ovvero di un'organizzazione quale legame funzionale che renda le attivitā dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati, lā dove, infine, il motivo del trasferimento ben puō consistere nell'intento di superare uno stato di difficoltā economica. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva riconosciuto la liceitā dell'atto di trasferimento previo accertamento dell'esistenza, prima del trasferimento, di un ramo d'azienda denominato "Costruzioni terra Italia", destinato alla progettazione, fabbricazione e posa a terra di tubi di grande diametro, a cui erano assegnati, tra gli altri, i lavoratori ricorrenti; accertamento, questo, non infirmato dall'essere state tali attivitā ostacolate dalla crisi delle commesse).