(massima n. 1)
Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato non deve prescindersi dalla volontà delle parti contraenti e, sotto questo profilo, va tenuto presente il nomen juris utilizzato, il quale però non ha un rilievo assorbente, poiché deve tenersi conto altresì, sul piano della interpretazione della volontà delle stesse parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto, ai sensi dell'art. 1362, secondo comma, c.c., e, in caso di contrasto fra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità della prestazione, è necessario dare prevalente rilievo ai secondi, dato che la tutela relativa al lavoro subordinato, per il suo rilievo pubblicistico e costituzionale, non può essere elusa per mezzo di una configurazione formale non rispondente alle concrete modalità di esecuzione del contratto (nella specie — relativa al servizio svolto da un assistente sociale presso un'amministrazione comunale — la Suprema Corte ha annullato la sentenza di merito, che aveva ritenuto la natura autonoma del rapporto sulla sola base del riferimento, contenuto nella convenzione regolatrice del rapporto, all'art. 2222 c.c.).