(massima n. 1)
Nessun diritto al risarcimento del danno, morale o biologico, è configurabile in capo al marito ed al figlio minore di una donna che, a seguito di un intervento di interruzione volontaria di gravidanza, abbia subito lesioni personali cagionanti la perdita della capacità di procreare. Non è, difatti, legittimamente predicabile l'esistenza, nella specie, di un danno biologico in capo ai predetti soggetti, atteso che la legge (costituzionale e/o ordinaria) riconosce loro, sotto il profilo dell'accrescimento del nucleo familiare, non un diritto soggettivo ma, al più, un interesse di mero fatto (prevedendo l'art. 5 della legge 194/78 — sottoposto anche al vaglio positivo della Corte Costituzionale in punto di conformità ai principi della Carta fondamentale —, anche in caso di donna legittimamente coniugata, l'audizione del marito come mera eventualità, ed escludendo, comunque, ed in ogni caso, qualsiasi rilevanza della di lui volontà in ordine alla decisione della moglie di interrompere la gravidanza), così che non «ingiusto», per il marito (e, a maggior ragione, per il figlio), si appalesa l'atto illecito de quo consumato nei confronti della donna, né è, per converso, configurabile, in capo ai medesimi soggetti, una autonoma risarcibilità del danno morale, riconoscendo l'art. 185 c.p. la titolarità dell'azione risarcitoria al solo soggetto passivo del reato di lesioni colpose, e non anche ai prossimi congiunti.