(massima n. 1)
In conseguenza della morte di persona causata da reato, ciascuno dei suoi familiari prossimi congiunti è titolare di un autonomo diritto per il conseguente risarcimento del danno morale, il quale deve essere liquidato in rapporto al pregiudizio da ognuno individualmente patito per effetto dell'evento lesivo, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto, rimanendo, per converso, esclusa la possibilità per il giudice di procedere ad una determinazione complessiva ed unitaria del suddetto danno morale ed alla conseguente ripartizione dell'intero importo in modo automaticamente proporzionale tra tutti gli aventi diritto. Ai fini di tale valutazione, l'intensità del vincolo familiare può già di per sé costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la ritenuta prova dell'esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari, e, inoltre, l'accertata mancanza di convivenza del soggetto danneggiato con il congiunto deceduto può rappresentare — come nella specie — un idoneo elemento indiziario da cui desumere un più ridotto danno morale, con derivante influenza di tale circostanza esclusivamente sulla liquidazione dello stesso.