(massima n. 1)
Nella nozione di «rovina», di cui all'art. 2053 c.c., se non può essere ricompresa ogni insidia pericolosa che possa trovarsi contenuta nell'edificio, è però da includere ogni disgregazione, sia pure limitata dell'edificio stesso o di elementi o manufatti accessori di esso, dalla quale possa derivare danno a terzi. L'art. 2053 c.c. pone a carico del proprietario una presunzione legale di responsabilità per i danni cagionati dalla rovina dell'edificio dovuta a vizi di costruzione o a difetto di manutenzione, a causa, cioè, che egli è tenuto ad evitare per il suo peculiare dovere di cura e di vigilanza in ordine a costruzioni potenzialmente dannose per i terzi. Tale responsabilità non vien meno solo perché il proprietario abbia affidato ad un terzo la progettazione o la costruzione dell'edificio o abbia concesso ad altri il godimento temporaneo dell'immobile, ovvero ricorra il fatto colposo di un terzo o dello stesso danneggiato; circostanze, queste ultime, che di per sé sole, possono dar luogo soltanto ad un concorso di colpa ed a rivalsa verso il terzo o a una riduzione della responsabilità del proprietario. La responsabilità di quest'ultimo può infatti restare esclusa soltanto al di là del previsto ambito suo proprio, se ricorrano gli estremi peculiari del caso fortuito o della forza maggiore, o anche fatti del terzo o del danneggiato, sempre che essi si pongano come fattori estranei alla sfera di azione del proprietario dell'immobile.