(massima n. 1)
Il danno alla vita di relazione, per i profili che non incidono sulla capacità di produrre un reddito, ancorché tenda ad essere assorbito dal danno alla salute (o biologico), tuttavia non si identifica del tutto con questo, atteso che tale danno assume rilievo giuridico non solo per il pregiudizio che la lesione dell'integrità psico-fisica ha arrecato alla possibilità del danneggiato di avvalersi, nei rapporti intersoggettivi con i terzi, delle doti di validità fisica e mentale elargitegli dalla natura, ma anche per i riflessi interiori della menomazione subita a causa del pregiudizio da questa arrecato alla libertà del danneggiato di autodeterminazione nell'attività extralavorativa, avvalendosi, nella quotidianità, del proprio livello psico-fisico, a prescindere dalle utilità derivabili dalla instaurazione di rapporti sociali. Pertanto, legittimamente il giudice di appello, investito del gravame sulla misura del risarcimento liquidato dal primo giudice per il danno alla vita di relazione, può tenere conto anche del danno per i riflessi interiori prodotti dalla menomazione dell'integrità psico-fisica, trascurato dal giudice di primo grado, senza che ciò importi duplicazione nella liquidazione di un elemento del danno ma solo una diversa e più completa valutazione in riferimento al diverso ambito del danno alla salute.