(massima n. 1)
Il principio che, salva inequivoca volontà contraria del committente, ricollega alla ricezione, senza riserve, della consegna dell'opera eseguita dall'appaltatore la presunzione di tacita accettazione, la quale, implicando rinuncia del committente al diritto di verifica, libera, ai sensi dell'art. 1667 c.c., l'appaltatore della garanzia per le difformità o i vizi riconoscibili o conosciuti, è applicabile anche ai rapporti di appalto nei quali sia previsto il collaudo, che, in senso proprio, si concreta nella dichiarazione del committente, coevo o successivo alla verifica, della conformità dell'opera ai patti contrattuali ed alle regole dell'arte, ma non si estende ai casi in cui il collaudo debba essere effettuato da un terzo ed ancora meno quando il collaudatore debba essere designato dalla P.A., perché la previsione di un siffatto collaudo si colloca in una prospettiva di garanzia degli interessi coinvolti dalla esecuzione dell'opera che è del tutto inconciliabile con la presunzione di unilaterale rinuncia al collaudo, sancita dall'art. 1665 c.c. con esclusivo riferimento ad un rapporto nel quale la verifica costituisce solo una facoltà (rinunciabile) del committente. (Nella specie si trattava di collaudo dovuto ad una clausola di rinvio alla disciplina degli appalti delle opere pubbliche, inserita in contratto di appalto per l'esecuzione di una costruzione, con contributo erariale, di alloggi di edilizia economica e popolare da assegnare ai soci di una cooperativa).