(massima n. 1)
L'art. 4, nono comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo introdotto dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74, — il quale prevede, anche senza istanza di parte, la pronuncia di sentenza non definitiva di divorzio, nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell'assegno — persegue la evidente finalità di consentire una sollecita pronuncia in ordine allo status delle parti, in ossequio al favor libertatis a fronte di una situazione irrimediabilmente compromessa, rinviando all'esito di una più approfondita istruttoria, quando ciò sia ritenuto necessario, la definizione delle questioni patrimoniali conseguenti. Ne deriva che, nella ipotesi in cui sia rimessa al collegio la causa per la pronuncia ex art. 4, nono comma, cit., non può trovare applicazione la regola posta dall'art. 189, secondo comma, cod. pro. civ. — secondo cui la rimessione investe il collegio di tutta la causa anche quando avvenga a norma dell'art. 187, secondo e terzo comma, del codice di rito, e cioè nei casi in cui debba essere decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, ove la decisione di essa possa definire l'intero giudizio, ovvero una questione attinente alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali — risultando necessario il compimento di una fase di approfondimento istruttorio, in cui dare spazio all'adeguato svolgimento delle difese delle parti, differito per la esigenza di una immediata pronuncia sullo status. (Nella specie, alla stregua del principio di cui alla massima, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che aveva ritenuto legittima la decisione del tribunale che aveva pronunciato anche sugli aspetti economici conseguenti alla sentenza di divorzio, pur avendo il giudice istruttore rimesso la causa al collegio per la sola pronuncia non definitiva sullo status dopo aver formalmente invitato le due parti, nella prima udienza successiva a quella presidenziale, a precisare le conclusioni esclusivamente sulla domanda di divorzio).