(massima n. 1)
Tra il giudizio di nullità del matrimonio concordatario e quello avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili dello stesso non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità, tale che il secondo debba essere necessariamente sospeso a causa della pendenza del primo ed in attesa della sua definizione, posto che trattasi di procedimenti autonomi, non solo sfocianti in decisioni di diversa natura (e con peculiare e specifico rilievo in ordinamenti diversi, tanto che la decisione ecclesiastica solo a seguito di giudizio eventuale di delibazione, e non automaticamente, può produrre effetti nell'ordinamento italiano), ma anche aventi finalità e presupposti diversi. Né rileva che le norme sul giudizio di delibazione, di cui agli artt. 796 e 797 c.p.c., siano state abrogate dall'art. 73 della legge 31 maggio 1995, n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, giacché tale abrogazione, in ragione della fonte di legge formale ordinaria da cui è disposta, non è idonea a spiegare efficacia sulle disposizioni dell'Accordo, con protocollo addizionale, di modificazione del Concordato lateranense (firmato a Roma il 18 ottobre 1984 e reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121), disposizioni le quali — con riferimento alla dichiarazione di efficacia, nella Repubblica italiana, delle sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici — contengono un espresso richiamo agli artt. 796 e 797 c.p.c., che pertanto risultano connotati, relativamente a tale specifica materia ed in forza del principio concordatario accolto dall'art. 7 della Costituzione, di una vera e propria ultrattività.