(massima n. 1)
Le cause di scioglimento, o di cessazione degli effetti civili, del matrimonio, previste dall'art. 3 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, operano in presenza del presupposto che, per effetto di esse, la comunione spirituale e materiale fra i coniugi non possa essere mantenuta o ricostituita. L'accertamento che in tal senso compie il giudice costituisce un apprezzamento di merito insindacabile in Cassazione, se correttamente e adeguatamente motivata. Perché si verifichi il presupposto su indicato non è necessario che entrambi i coniugi siano concordi nel volere, o nel ritenere avvenuta, la dissoluzione della predetta unione. Al contrario, proprio perché il mantenimento o la ricostituzione della comunione stessa richiede il concorso delle volontà dei due coniugi, è sufficiente la contraria volontà di uno solo di essi perché il giudice di merito possa, in presenza di ogni altra circostanza all'uopo pertinente, ritenere sussistente il presupposto innanzi indicato. Né d'altronde è necessario che la predetta contraria volontà manifestata da uno dei coniugi con il fatto di separarsi e di persistere nello stato di separazione, sia giustificata da un fatto obiettivo o da colpa della controparte, in quanto la legge dà rilevanza a detto stato (ed al suo protrarsi per il tempo previsto in proposito) indipendentemente dall'assenza di colpa del coniuge che si fa attore.