(massima n. 2)
È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), Cost., 3, primo comma, lett. n) dello statuto sardo e 6 del D.P.R. n. 480 del 1975, l'art. 1 della legge della Regione autonoma Sardegna 2 agosto 2013, n. 19, nella parte in cui non prevede la tempestiva comunicazione del Piano straordinario di accertamento e degli altri atti modificativi dei vincoli di destinazione ai competenti organi statali, affinché lo Stato possa far valere la propria competenza a tutelare il paesaggio con la conservazione dei vincoli esistenti o l'apposizione di diversi vincoli, e affinché, in ogni caso, effetti giuridici modificativi del regime dei relativi beni non si producano prima, e al di fuori, del Piano paesaggistico regionale. La norma censurata disciplina una sostanziale progressiva sdemanializzazione degli usi civici sul territorio sardo, attraverso il Piano straordinario di accertamento demaniale e la delega ai Comuni per la ricognizione generale degli usi civici esistenti sui rispettivi territori, prevedendo una possibile cessazione degli stessi. Per quanto riguarda la Regione autonoma Sardegna, gli usi civici sono soggetti a due distinte potestà legislative, regionale e statale. In particolare, lo statuto speciale e la normativa di attuazione attribuiscono alla Regione, rispettivamente, la competenza legislativa primaria in materia di usi civici e la conseguente potestà amministrativa, e funzioni relative ai beni culturali e ambientali, nonché quelle relative alla redazione e all'approvazione dei piani territoriali paesistici. La competenza statale per la conservazione ambientale e paesaggistica, ricompresa nella tutela dell'ambiente, trova attualmente la sua espressione nell'art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42 del 2004), le cui disposizioni si impongono al rispetto del legislatore sardo, siccome recanti norme di grande riforma economico-sociale. Pertanto, la coesistenza di due ambiti competenziali - statale e regionale - impone la ricerca di un modello procedimentale che permetta la conciliazione degli interessi in gioco. A tal riguardo, vengono in rilievo l'intesa stipulata tra la Regione, il Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero dell'Ambiente, per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici, e l'accordo di cui all'art. 15 della legge n. 241 del 1990. Tuttavia, la tutela dell'interesse ambientale esige l'anticipazione dell'intervento statale alla fase della formazione del piano di accertamento straordinario previsto dalla disposizione censurata, in quanto gli usi civici - al pari di altre fattispecie, quali le università agrarie, i parchi e le riserve - non trovano la loro fonte nel dato puramente geografico, oggetto di mera rilevazione nel piano paesaggistico, bensì in precedenti atti amministrativi, cosicché è in questa fase a monte che si consuma la scelta ambientale. Il piano di accertamento straordinario ha, dunque, la funzione di confermare o negare la qualificazione delle aree, con effetti definitivi sulla relativa tutela. Pertanto, per un'efficace tutela del paesaggio e dell'ambiente non è sufficiente un intervento successivo alla soppressione degli usi civici, ma occorre che lo Stato possa far valere gli interessi di cui è portatore sin dalla formazione del piano straordinario di accertamento demaniale, concorrendo a verificare se sussistano o meno le condizioni per la loro stessa conservazione. - Per l'affermazione che la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato, con la conseguenza che tale titolo competenziale riverbera i suoi effetti anche quando si tratta di Regioni speciali o di Province autonome, fermo restando il rispetto degli statuti speciali di autonomia, v. le citate sentenze nn. 378/2007 e 367/2007. - Per l'affermazione che è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che costituisce di per sé un valore costituzionale, v. la citata sentenza n. 367/2007. - Per l'affermazione che le disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio sono norme di grande riforma economico-sociale, che si impongono al rispetto anche degli enti ad autonomia differenziata, v. le citate sentenze nn. 207/2012, 66/2012, 226/2009, 164/2009, 51/2006. - Nel senso che "la sovrapposizione fra tutela del paesaggio e tutela dell'ambiente si riflette in uno specifico interesse unitario della comunità nazionale alla conservazione degli usi civici, in quanto e nella misura in cui concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano, intesa quale prodotto di "una integrazione tra uomo e ambiente naturale"", v. la citata sentenza n. 46/1995.