(massima n. 1)
Hanno carattere perentorio i termini stabiliti dall'art. 10, terzo comma, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, per l'inizio e per la conclusione del procedimento disciplinare da espletarsi in presenza di istanza di riammissione all'impiego del pubblico dipendente che, anteriormente all'entrata in vigore della legge predetta, sia incorso nella destituzione di diritto in base a criteri di automatismo previsti da norme poi dichiarate incostituzionali. La disposizione in esame individua, infatti, precise cadenze temporali per la rapida definizione del procedimento disciplinare, imponendo che lo stesso «deve essere proseguito o promosso entro 90 giorni dalla ricezione della domanda di riammissione» e «deve essere concluso entro i successivi 90 giorni». Il carattere perentorio dei termini in questione è, in primo luogo, reso evidente dalla lettera della norma che, con l'inciso «deve» ripetuto due volte con riferimento sia al momento iniziale sia a quello conclusivo del procedimento, esprime il chiaro intento di fissare cadenze perentorie e non derogabili alle fasi procedimentali preordinate alla verifica, in base al codice disciplinare, della sussistenza o meno di condizioni ostative alla ricostituzione del rapporto di impiego. La fissazione di termini certi e non derogabili per l'esercizio dell'azione disciplinare corrisponde, inoltre, all'esigenza avvertita dal legislatore di definire con carattere di rapidità situazioni che coinvolgono l'interesse del lavoratore al ripristino del rapporto di lavoro venuto meno per l'irrogazione di una misura afflittiva ritenuta incostituzionale per il suo carattere rigido ed automatico e si riconnette ad una valutazione di congruità dei termini fissati "ex lege" per lo svolgimento di un procedimento disciplinare che ha ad oggetto fatti già debitamente istruiti nell'ambito del processo penale.