(massima n. 1)
L'istituto dell'occupazione appropriativa - da non confondere con la generica ed indeterminata apprensione "sine titulo" da parte di un ente pubblico, per qualsivoglia ragione e fine, di un bene immobile del privato - si colloca, oramai, in un contesto di regole sufficientemente chiare, precise e prevedibili, ancorate a norme di legge, le quali hanno recepito, confermandola, l'elaborazione giurisprudenziale della Corte di cassazione, costituente diritto vivente, ed hanno positivamente superato il vaglio di costituzionalitā (cfr. sent. n. 188 del 1995, n. 369 del 1996, n. 148 del 1999). La riconosciuta necessitā che l'occupazione appropriativa sia comunque presidiata da una valida dichiarazione di pubblica utilitā dell'opera, realizzata dalla P.A. per fini d'interesse generale (e, quindi, l'esclusione, dal suo ambito, delle vicende di occupazione usurpativa, non collegate ad alcuna utilitā pubblica formalmente dichiarata, o per mancanza "ab initio" della dichiarazione di pubblica utilitā o perché questa č venuta meno in seguito ad annullamento dell'atto in cui essa era contenuta o per scadenza dei relativi termini); la previsione che al privato va riconosciuto un risarcimento ragionevole, il cui importo č in ogni caso superiore a quello dell'indennitā spettante in sede di espropriazione; l'esistenza, infine, di norme idonee ad assicurare una tutela effettiva in sede giudiziaria per l'esercizio dell'azione risarcitoria, anche sotto il profilo del termine di prescrizione, consentono di ravvisare un giusto equilibrio tra la garanzia del diritto di proprietā, prevista dalla normativa costituzionale interna e dall'art. 1 del protocollo n. 1 addizionale alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertā fondamentali (come interpretato dalla Corte di Strasburgo), e gli interessi generali della collettivitā.