(massima n. 1)
La triplicazione dell'indennità di espropriazione in favore del proprietario diretto coltivatore, stabilita dall'art. 17, comma 1, della L. n. 865 del 1971 (nel testo modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977) per il caso di cessione volontaria, spetta all'espropriato tutte le volte che l'espropriante non abbia formulato un'offerta di indennità provvisoria seria, attendibile, effettivamente commisurata ai criteri legali e adeguata alla natura e al valore dell'immobile (sì da garantire, e non elidere, la facoltà di scelta dell'espropriando per la cessione volontaria o per la contestazione dell'indennità offerta), secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di espropriazione delle aree edificabili, i quali vanno applicati anche all'espropriazione delle aree inedificabili, perché identico è il tenore delle relative norme, che prevedono un prezzo maggiorato nella sola fattispecie di cessione volontaria e ne impongono il calcolo secondo un parametro rigidamente predeterminato ed automatico (il 40% in più per le aree edificabili e la triplicazione per quelle agricole), che non lascia spazio alcuno né al potere discrezionale dell'espropriante, né alla contrattazione tra le parti (al contrario della maggiorazione spettante al proprietario non coltivatore diretto, per la quale l'art. 12, comma 1, della L. n. 865 del 1971 fissa soltanto un importo massimo entro il quale è rimessa all'autonomia delle parti la possibilità di raggiungere l'accordo), e perché le medesime considerazioni, che hanno indotto la giurisprudenza ad equiparare l'ipotesi di cessione volontaria a quella in cui la stessa non possa concludersi per fatto imputabile all'espropriante, valgono nella fattispecie in cui unico e unitario è il sub-procedimento di determinazione e offerta dell'indennità provvisoria, identica la sua disciplina e identica, soprattutto, la consistenza della posizione dell'espropriando, di diritto soggettivo