(massima n. 1)
In caso di reato commesso nel territorio nazionale da un cittadino soggetto anche alla giurisdizione ecclesiastica della Santa Sede, con cui non vigono accordi idonei a derogare alla disciplina di cui all'art. 11 cod. pen., il processo canonico innanzi agli organi della giurisdizione ecclesiastica non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per i medesimi fatti, non essendo quello del "ne bis in idem" principio generale del diritto internazionale, come tale applicabile nell'ordinamento interno. (Fattispecie relativa a sacerdote, imputato del delitto di violenza sessuale in danno di due ragazzi, gią assoggettato per il medesimo fatto alla sanzione massima della dismissione dallo stato clericale, di natura sostanzialmente penale in base al codice canonico, in cui la Corte ha confermato la sentenza che aveva escluso l'applicabilitą del principio del "ne bis in idem", non esistendo tra Italia e Santa Sede accordi bilaterali che deroghino alla disciplina di cui all'art. 11 cod. pen., e non essendo applicabili né l'art. 54 della Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen né l'art. 4 protocollo n. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, non avendo la Santa Sede aderito ad alcuno dei suddetti strumenti).