(massima n. 1)
Nel contratto di prestazione d'opera intellettuale tra il chirurgo ed il paziente, il professionista, anche quando l'oggetto della sua prestazione sia solo di mezzi, e non di risultato, ha il dovere di informare il paziente sulla natura dell'intervento, sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle possibilità e probabilità dei risultati conseguibili, sia perché violerebbe, in mancanza, il dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.), sia perché tale informazione è condizione indispensabile per la validità del consenso, che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico, senza del quale l'intervento sarebbe impedito al chirurgo tanto dall'art. 32 Cost., comma secondo, (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), quanto dall'art. 13 della Costituzione, (che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e dall'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (che esclude la possibilità d'accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità; ex art. 54 c.p.). L'obbligo d'informazione, che si estende allo stato d'efficienza e al livello di dotazioni della struttura sanitaria in cui il medico presta la propria attività, riguarda i soli rischi prevedibili e non anche gli esiti anomali, e si estende alle varie fasi degli stessi che assumono una propria autonomia gestionale, e, in particolare, ai trattamenti anestesiologici. In ogni caso, perché l'inadempimento dell'obbligo d'informazione dia luogo a risarcimento, occorre che sussista un rapporto di casualità tra l'intervento chirurgico e l'aggravamento delle condizioni del paziente o l'insorgenza di nuove patologie. (Nella specie, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda dell'attore che assumeva danni subiti per una inadeguata manovra d'intubazione nel corso di un intervento chirurgico per artoprotesi all'anca, facendo valere la responsabilità del chirurgo per mancanza di consenso informato in relazione al trattamento anestesiologico, dal quale sarebbe derivato il danno fonetico; nell'occasione, la Corte di Cassazione ha reputato corretta la sentenza d'appello che, confermando la decisione di primo grado, aveva escluso la sussistenza del nesso di causalità tra il trattamento d'intubazione orotracheale e la disfonia che aveva colpito il ricorrente).