(massima n. 1)
Ai fini della configurabilità del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, quale ora previsto dall'art. 341 bis c.p., per un verso, l'obiettiva capacità offensiva di determinate espressioni verbali non può dirsi elisa dalla facilità e dalla frequenza con le quali esse vengono adoperate, ben potendo le medesime dar luogo alla riconoscibilità del reato quando siano inserite in un contesto che esprima, senza possibilità di equivoci, disprezzo e disistima per le funzioni del pubblico ufficiale; per altro verso, una critica, anche accesa, nei confronti del pubblico ufficiale non può essere considerata penalmente rilevante se non quando sia tale da minare la dignità sociale del destinatario e, attraverso di lui, la considerazione della pubblica amministrazione che egli, in quel momento, impersona. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto che legittimamente fosse stata affermata la sussistenza del reato in un caso in cui l'imputato, a fronte dell'intervento del pubblico ufficiale in un locale pubblico in cui era insorta una lite tra avventori, aveva rivolto al suo indirizzo l'espressione: "io vado dove voglio, vaffanculo”).