(massima n. 1)
La riferibilità al minore del contratto stipulato dal genitore, quale rappresentante legale, pur non restando esclusa dalla mancanza di un'espressa spendita del nome del rappresentato (essendo in proposito sufficiente una volontà anche tacita, purché inequivoca di agire in detta qualità, cui si unisca la consapevolezza dell'altro contraente di trattare con chi abbia la relativa veste), deve essere negata quando il contratto stesso risulti nullo perché in frode alla legge, ovvero contrario a norme imperative (come quelle dettate dall'art. 320 c.c. a tutela degli interessi del minore), tenuto conto dell'applicabilità, pure nella rappresentanza legale, del principio generale dell'art. 1388 c.c., in tema di efficacia del negozio nei confronti del rappresentato a condizione che il rappresentante abbia agito nei limiti delle facoltà attribuitegli. In siffatta situazione, deve essere affermata la legittimazione passiva del rappresentante non soltanto con riguardo a pretesa risarcitoria, avanzata dall'altro contraente a norma dell'art. 1398 c.c., ma anche con riguardo ad azione di ripetizione d'indebito, che quest'ultimo esperisca per far valere gli effetti restitutori della suddetta nullità (nella specie, in relazione alla carenza di azione risarcitoria, data la sua volontaria e cosciente partecipazione alla illiceità inficiante il contratto).