(massima n. 1)
La violenza morale può estrinsecarsi secondo una fenomenologia varia ed indefinita, e quindi anche in modo non esplicito ma indeterminato o indiretto, sempreché sussista il requisito — indefettibile per la rilevanza di tale forma di violenza — che la minaccia sia specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per l'atto di cui si chieda l'annullamento. La valutazione — alla stregua del materiale probatorio — della sussistenza della minaccia di un male ingiusto, nonché del rapporto di causalità tra questa ed il compimento dell'atto impugnato, costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato. (Nella specie, la sentenza impugnata — confermata dalla Suprema Corte — aveva, in particolare, ritenuto, che la minaccia di licenziamento per giusta causa, subita dal lavoratore in una temporanea situazione di difficile contestabilità delle false prove predisposte a suo carico, fosse atto idoneo a fargli temere l'esposizione ad un male ingiusto e notevole e tale, quindi, da indurlo a dare le dimissioni mediante la firma della lettera all'uopo predisposta presso l'azienda).