(massima n. 1)
La violenza, perché assurga a causa di invalidità del contratto, anche quando consista nella minaccia di far valere un diritto, deve intervenire in un momento anteriore al negozio e concretarsi nella minaccia attuale di un male futuro, dipendente in qualche modo dal comportamento dello stesso autore della vis compulsiva. Se la minaccia, invece, non è più attuale, nel senso che sia già interamente esaurita la condotta collocabile come antecedente causale, o almeno concausale, del male temuto dal soggetto passivo, la rappresentazione, da parte di quest'ultimo, di un pericolo di danno non deriva più dal comportamento del minacciante, bensì dalla considerazione di altre circostanze che sfuggono completamente al dominio del medesimo e si atteggia, quindi, come semplice metus ab intrinseco che, ove anche incida sul processo formativo della volontà negoziale, facendo venir meno quella libertà di determinazione cui ogni contrattazione deve essere informata, non è idoneo ad invalidare il negozio. (Nella specie la Suprema Corte, enunciando il surriportato principio, ha ritenuto giuridicamente corretta la decisione con la quale era stata esclusa l'invalidità, per preteso vizio del consenso, di un accordo transattivo stipulato dopo che uno dei contraenti aveva già presentato a carico dell'altro una denunzia per truffa aggravata, perseguibile di ufficio, e non era più in grado, quindi, di incidere sull'esito del procedimento penale).