(massima n. 1)
L'interesse richiesto dall'art. 568, comma 4, c.p.p. quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione dev'essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l'eliminazione di quel provvedimento, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante. Pertanto, qualora il pubblico ministero denunci, al fine di ottenere l'esatta applicazione della legge, la violazione di una norma di diritto sostanziale o processuale, in tanto può riconoscersi la sussistenza di un interesse concreto che renda ammissibile la doglianza in quanto (trattandosi di ricorso per cassazione), nell'eventuale giudizio di rinvio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole; condizione, questa, che non sussiste quando sia esaurita la vicenda oggetto della pronuncia, nulla rilevando in contrario la mera affermazione, da parte del giudice di merito, di un principio di diritto (in ipotesi) errato, pur se programmaticamente enunciato come destinato ad operare in futuro in casi consimili. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal pubblico ministero avverso il provvedimento, già eseguito, con il quale il tribunale, in applicazione analogica dell'art. 7 bis della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, aveva concesso ad un soggetto sottoposto a misura di prevenzione con obbligo di soggiorno di allontanarsi per un giorno da detto luogo onde far visita al coniuge detenuto altrove).