(massima n. 1)
In tema di abuso di ufficio, nella formulazione dell'art. 323 c.p.p. introdotta dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, l'uso dell'avverbio «intenzionalmente» per qualificare il dolo ha voluto limitare il sindacato del giudice penale a quelle condotte del pubblico ufficiale dirette, come conseguenza immediatamente perseguita, a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad arrecare un ingiusto danno. Ne deriva che, qualora nello svolgimento della funzione amministrativa il pubblico ufficiale si prefigga di realizzare un interesse pubblico legittimamente affidato all'agente dell'ordinamento (non un fine privato per quanto lecito, non un fine collettivo, né un fine privato di un ente pubblico e nemmeno un fine politico), pur giungendo alla violazione di legge e realizzando un vantaggio al privato, deve escludersi la sussistenza del reato (in applicazione di tale principio la Corte ha ravvisato l'assenza dell'elemento soggettivo nella condotta del sindaco di un comune che aveva rilasciato un'autorizzazione sanitaria ad un ristoratore non abilitato allo scopo di perseguire il fine pubblico di far fronte ad una situazione emergenziale in occasione di un importante evento turistico del Comune).