(massima n. 1)
In tema di abuso d'ufficio, la violazione di norme di leggi o di regolamento contemplata dalla fattispecie di cui all'art. 323 c.p. non può essere integrata dall'inosservanza delle disposizioni inserite nel bando di concorso il quale è atto amministrativo e, quindi, fonte normativa non riconducibile a quelle tassativamente indicate dal successivo art. 323 (“id est” legge o regolamento). Sicché nel caso di mancata valutazione obiettiva dei candidati, la norma, penalmente rilevante risiede nella legge 29 marzo 1983, n. 93 (legge quadro sul pubblico impiego) che si applica a tutte le pubbliche amministrazioni (Art. 1), che all'art. 20 stabilisce che il reclutamento dei pubblici dipendenti avviene mediante concorso e che questo consiste nella valutazione obiettiva del merito dei candidati, accertato mediante l'esame dei titoli e/o delle prove selettive. (Fattispecie in cui la Suprema Corte — in applicazione del principio di cui in massima — ha ritenuto la sussistenza del reato di cui all'art. 323 c.p. nella condotta del commissario di esame di un pubblico concorso che, a fronte del risultato sostanzialmente equivalente della prova orale sostenuta da due candidati assegnò due al primo e otto al secondo e che al momento della valutazione dei titoli, rilevato che il primo vantava una copiosa produzione mentre il secondo ne era completamente privo, rifiutò di prendere in esame i medesimi titoli).