(massima n. 1)
La norma incriminatrice di cui all'art. 648 c.p. (ricettazione) è speciale rispetto a quella di cui all'art. 12 D.L. 3 maggio 1991, n. 143, conv. in L. 5 luglio 1991, n. 197, che punisce, tra l'altro, chi acquisisce al fine di trarne profitto carte di credito ovvero documenti di pagamento o di prelievo “di provenienza illecita”. Tale disposizione, infatti, vale a colmare gli spazi non coperti dall'art. 648 c.p., prevedendo come autonome figure di reato — limitatamente alle carte di credito ed altri documenti similari — situazioni che altrimenti sarebbero rimaste indenni da qualsiasi repressione penale o avrebbero, semmai, ed in presenza dei presupposti richiesti, integrato la semplice ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 712 c.p.; come si evince dal confronto delle predette norme, infatti, mentre nell'art. 648 c.p. si individua un fondamentale elemento specializzante consistente nella provenienza «da delitto» del denaro o delle cose acquistate, ricevute od occultate, l'art. 12 D.L. n. 143/91 contiene un riferimento generico alla “provenienza illecita”, senza alcuna particolare qualificazione, dei documenti in argomento. In questa, pertanto, deve ricomprendersi qualsiasi diverso genere di illiceità, sia amministrativa che civile, comprensiva quest'ultima anche della cosiddetta “illiceità contrattuale”, ravvisabile, nel suo significato di “inadempimento di una obbligazione”, nel caso in cui il titolare di carta di credito ne sia rimasto in possesso in violazione del contratto concluso con l'emittente e l'abbia poi ceduta al terzo senza essere legittimato a disporne.