(massima n. 1)
Qualora, nel corso di una perquisizione domiciliare, venga rinvenuta dalla polizia giudiziaria sostanza stupefacente e un quantitativo di questa sia trovato su indicazione di uno degli occupanti dell'immobile, chiamato poi a rispondere del reato di cui all'art. 71, comma 1, L. 22 dicembre 1975, n. 685, e, successivamente, venga sentito al dibattimento l'ufficiale di P.G. che ha eseguito la perquisizione, il quale deponga anche sull'indicazione fornita dall'imputato nell'immediatezza dei fatti, trova applicazione il disposto dell'art. 350, comma 6, c.p.p., secondo cui delle notizie e delle indicazioni assunte senza l'assistenza del difensore sul luogo o nell'immediatezza del fatto č vietato non solo ogni documentazione ma pure ogni utilizzazione in sede processuale. Qualora, poi, si ritenga, che si sia trattato non di notizie o indicazioni assunte, vale a dire sollecitate con precise domande dalla polizia giudiziaria, ma di dichiarazioni spontanee, ai sensi dell'art. 350, comma 7, c.p.p., č possibile l'utilizzazione nel dibattimento delle stesse solo per quanto previsto dall'art. 503, comma 3, c.p.p., vale a dire ai fini di contestare, in tutto o in parte, il contenuto della deposizione dell'imputato che, sui fatti e sulle circostanze da contestare, abbia giā deposto. (Nella fattispecie, il ricorrente ha dedotto che i giudici del merito, per il riconoscimento della sua responsabilitā, avevano evidenziato che egli era consapevole del luogo ove era tenuta parte della cocaina, cosė valorizzando l'indicazione che sarebbe stata da lui fornita alla P.G., mentre, invece, avrebbero dovuto recepire e utilizzare unicamente quella parte della deposizione dell'ufficiale di P.G. che non riguardava quanto da questi appreso da esso imputato).